L’incredibile vita di Sly Stone, memoir di un tempo ribelle
Libri «Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin)», per Jimenez, la musica, l'utopia spezzata degli anni Sessanta, l’ oblio nei percorsi di uno tra i più originali protagonisti della scena soul, funk e rock
Libri «Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin)», per Jimenez, la musica, l'utopia spezzata degli anni Sessanta, l’ oblio nei percorsi di uno tra i più originali protagonisti della scena soul, funk e rock
Se può apparire sorprendente che Sly Stone uno dei geni assoluti della musica funk-rock-soul sia nonostante tutto ancora vivo e in ottima salute non lo è da meno la notizia che abbia deciso nel 2023 di pubblicare quelle che sono a tutti gli effetti le sue memorie e che ora meritoriamente la casa editrice Jimenez ha portato in Italia – nella bella traduzione a cura di Alessandro Besselva Averame. Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin) è un libro fiume dentro la vita di un musicista irripetibile e straordinario, grande navigatore esistenziale che ha dato forma e corpo a un’epoca che non fu solo di musica, ma sentimentale e insieme politica a tutti gli effetti.
Un tempo magico (e lisergico) che Sly Stone ripercorre senza alcuna remora o censura, ma anzi con la consapevolezza di chi ha saputo vivere pienamente e non invano. Memorie dunque, e non una semplice autobiografia perché il tempo e il contesto per Sly Stone sono stati fondamentali in quanto generativi di incontri, intuizioni e scelte anche repentine. Tempi che poi lui stesso con la propria arte ha saputo sia raccontare, ma anche e soprattutto plasmare e rigenerare.
Quello di Stone è un modo di stare e di pensare totalmente, ossessivamente comunitario, non privo di contraddizioni e di momenti complicati (per non dire complicatissimi), dentro ai quali però la sua figura geniale d’artista assoluto rivive plasticamente. Lui non è mai estraneo al suo tempo e non si pone mai ieraticamente distante come un essere esclusivo e distante dalla società e dal suo pubblico – che era parte della sua generazione, e partecipe di uno scambio continuo quanto reciproco.
La musica nell’esistenza di Sly Stone arriva prima di tutto, è sinonimo di vita e lo accompagna fin da bambino, a Vallejo dove nasce, una città a 30 chilometri a nord di San Francisco in pieno Texas.La Chiesa è il suo primo palcoscenico, scuola di musica e di performance che accendono subito in lui una necessità insopprimibile, un’urgenza fisica per la musica tanto da sentirsi spoglio o peggio ancora monco senza uno strumento musicale tra le mani.
LA PRIMA parte di Thank You ha la forza tipica del romanzo di formazione, una rincorsa lunghissima in «presa diretta». Le prime esperienze, il primo disco, la scoperta di un successo e di un’emancipazione a portata di mano; e poi quasi subito la sensazione di un limite dato da chi ha la pelle bianca verso chi ha la pelle nera, e viene da quartieri che in tutto e per tutto sono simili a dei ghetti, a un apartheid tanto non dichiarato quanto esplicito.
La musica da forma di un desiderio si trasforma così nella necessità utile per un’emancipazione sempre difficile e ostacolata, mezzo primario per una vera e propria liberazione.
Corre come un matto Stone, il primo picco nel 1969, Sly and the Family Stone raggiungono la vetta della classifica dei dischi più venduti contendendo la scena a Jimmy Hendrix, mentre Woodstock si perde sullo sfondo, quasi come un fenomeno minore. Il successo seppure immediato durerà però poco, almeno quello di vendita, poi verrà una sorta di lento declino che coinvolge un mondo intero. Una crisi che non può non lasciare indifferenti e che muterà prima ancora che il mercato musicale, l’idea stessa di musica, riducendo fortemente l’urgenza di una liberazione che fino ad allora aveva dominato la scena dando campo aperto a una generazione di donne e uomini in libertà purtroppo solo apparente.
GLI ANNI Settanta volgono al termine e Sly Stone organizza uno sfarzoso matrimonio pari quasi solo al concerto che andrà a tenere al Madison Square Garden, apice e crisi insieme come spesso accade nella carriere di star che restano eterne pur esplodendo in lampi intensissimi di vita. Traspaiono nelle pagine di Stone ironia e allegria, un piacere istintivo e naturale per il gioco che non è mai superficiale, ma che s’installa in una percezione fisica delle cose che lo circondano.
Stone non offre riflessioni e autoanalisi illuminanti, non elabora discorsi attorno ad esempio al suo rapporto pericoloso e suicida con la droga, ma offre lo spettacolo sincero, violento e appassionato di una sempre vita priva di sconti come di mezze misure e anche per questo totalmente affascinante e seducente. Le cose sono quello che sono, sembra dire tra le righe Sly Stone: «La terza domanda era sulle droghe. Mi alzai e me ne andai». Thank You è una scorribanda in vita, un grido funk che si riverbera lungo le pagine e porta inevitabilmente il lettore a tornare ai dischi e una musica sempre da ascoltare e riascoltare.
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