L’incastro famigliare può rivelarsi esiziale
NARRATIVA «A Sud dell’inferno. Enigma in quattro quadri», di Claudio Giovanardi edito da La Lepre
NARRATIVA «A Sud dell’inferno. Enigma in quattro quadri», di Claudio Giovanardi edito da La Lepre
A Sud dell’inferno. Enigma in quattro quadri di Claudio Giovanardi, pubblicato da La Lepre edizioni (pp. 187, euro 16), è scritto in una prosa ritmata, spesso rimata, che resta incisa nella mente, tanto che anche una volta chiuso il libro, i pensieri si articolano al passo della musica in cui si muove il testo. La ricerca linguistica non si limita alla metrica, che pure dà la misura di un lavoro certosino e faticoso, ma coinvolge il lessico.
Nel corso del romanzo si ritrovano, infatti, dei prestiti dal dialetto napoletano o da lingue straniere, che svolgono la funzione non solo musicale di cui si diceva, ma anche e soprattutto quella di essere le parole perfette, a cui Giovanardi fa ricorso proprio perché esprimono esattamente ciò che vuole dire e fanno vibrare ancor meglio le corde del suo strumento.
A TALE ESTRO LINGUISTICO fa da contrappunto la storia mesta e disperata della famiglia Albani, che viene raccontata a ritroso, a partire dalla sua fine. Il testo è diviso, come il titolo preannuncia, in quattro atti. A ognuno corrisponde un periodo nefasto della vicenda di Umberto, sua moglie e dei loro figli Luigi e Maria, a partire dalla morte del capofamiglia. Il romanzo si apre, infatti, con il suo funerale e con la spaventosa sorpresa che i suoi eredi si trovano di fronte al rientro a casa: tre ex galeotti che vogliono riavere i soldi dati al loro padre nel periodo della reclusione e che Umberto aveva promesso di far fruttare, una volta uscito dal carcere. Luigi e Maria devono saldare il debito, «altrimenti»: i tre minacciano di morte loro e i figli di lei.
Già in questo primo quadro, veniamo a sapere che Umberto Albani ha pagato in carcere una pena che non aveva mai commesso: sua figlia Maria da ragazzina lo aveva accusato di averla molestata, solo perché sua madre l’aveva minacciata che se non lo avesse fatto, lei sarebbe scomparsa per sempre dalla sua vita e da quella di suo fratello.
Nonostante questo tradimento aberrante, Umberto non smetterà di amare i propri figli, tanto da cercare di ricucire il rapporto con loro una volta uscito dal carcere, esperienza alle cui vicende è dedicato il terzo dei quattro episodi. Il suo errore imperdonabile, commesso nel secondo di quei quattro atti, sarà quello di cercare la riconciliazione con la moglie, che non solo aveva ideato il piano diabolico per farlo condannare, ma lo aveva ordito per poter continuare la sua relazione con l’amante Antonio.
QUEST’UOMO è il demone che domina l’inferno nel quale precipita la famiglia Albani e che dà il titolo al romanzo e come il serpente della Genesi non deve fare altro che tentare la donna per innescare una catena di tragedie, che si stringono intorno a Umberto e ai suoi figli.
Certo, ci si domanda se il vero inferno non sia cominciato per Umberto quando la moglie, durante il viaggio di nozze, gli ha detto di non amarlo. Ci si chiede, quindi, se Giovanardi non voglia porre lì, invece che nella sequela di disastri che seguono la comparsa di Antonio sulla scena, la vera voragine. Come se l’inferno fosse l’esperienza di ogni famiglia costruita sulla pigrizia delle consuetudini sociali, invece che sul rischio incalcolabile della passione coniugale.
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