Visioni

L’incanto possibile del Festival del Mediterraneo

L’incanto possibile del Festival del MediterraneoGabriella Ghermandi e Atse Tewodros Project

Eventi L’associazione Echo Art, che porta avanti con serena ostinazione il Festival Musicale del Mediterraneo, giunto quest’anno alla ventisettesima edizione, regala per il 2018 anche l’inizio di un nuovo percorso di indagine, riflessione e grande musica che esplora le possibilità di mettersi a confronto: si intitola Eurafrica

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 12 settembre 2018

A Genova è crollato un ponte di calcestruzzo, portandosi via tante persone. Nel Paese tutto crollano i ponti materiali, quelli delle coscienze, e si dà spazio a chi non vede l’ora di srotolare filo spinato e alzare muri. A Genova c’è anche chi, per nostra fortuna, da quasi trent’anni costruisce ponti di comunicazione tra la gente, ridando almeno una volta ogni anno alla città la sua vocazione di porto aperto, scambio di idee, incrocio di colori della pelle. E’ l’associazione Echo Art, che porta avanti con serena ostinazione il Festival Musicale del Mediterraneo, giunto quest’anno alla ventisettesima edizione. Il 2018 segna anche l’inizio di un nuovo percorso di indagine, riflessione e grande musica che esplora le possibilità di mettersi a confronto: si intitola Eurafrica, ed è dedicato al gioco di sponda tra il vecchio Continente e quello da cui tutti siamo partiti, centomila anni fa. Nel 2019 sarà la volta di Eurasia, nel 2020 di Euramerica. Diamo conto intanto della splendida prima trance di concerti e progetti, che riprenderanno mercoledì 12 con Ulìa / Pizzica meets Capoeira , incontro tra la pizzica salentina e la danza-arte marziale brasiliana di origine africana, e il 15 con un set della vocalist italo-somala Saba Anglana, accompagnata da Fabio Barovero.

Ad aprire il, ciclo di concerti e incontri, dopo due giornate di parate e dj set, la prima italiana di Flamenco meets Griot, con l’arpa diatonica di Ana Crisman a sostituire, per incredibile che possa apparire, la ruvida torrenzialità della chitarra flamenca, la voce e i passi di danza di Concha Medina, e l’arpa liuto africana di Cheick Fall alternata al tamburo Djembe, un musicista cresciuto tra le fila della Banda di Piazza Caricamento . Splendida interazione, ed efficace, fra le compresse scale del flamenco e il tintinnare delle pentatoniche africane, con molti sorrisi ed entusiasmo del pubblico. Situazione che s’è ripetuta il giorno successivo con un’altra prima, i Tamala, un progetto che mette assieme il violino del belga Wiouter Vandenabeele, il guineano Ba Sissoko alla kora Baba Maal, e il formidabile cantante e percussionista guineano Mola Sylla. Il belga, oltre che musicista, è animatore di mille progetti per i ragazzi africani, e trasmette un entusiasmo contagioso. Il 4 settembre è stata la volta di Atse Tewodros Project, gruppo diretto dalla vocalist e scrittrice italo – etiope Gabriella Ghermandi, in scena musicisti italiani dal jazz e musicisti etiopici tradizionali, per un impianto generale jazz rock d’antan non privo di fascino.

Applausi a non finire per la voce strepitosa di Naziha Azzous, vocalist algerina che interpreta il repertorio mistico sufi e molte altre musiche mediterranee con dolcezza infinita, nell’occasione accompagnata da due musiciste magrebine alla cetra kanun ed al violino arabo. La vocalist e attrice tunisina M’Barka Ben Taleb assieme al conterraneo multistrumentista Marzouk Meiri ha proposta invece una singolare rivisitazione del canzoniere storico napoletano, affrontato in arabo e con arrangiamenti ad hoc: una forza della natura. E della cultura. Produzione originale del festival invece l’omaggio all’Africa di Pasolini (che meditò a lungo un’Orestiade africana, senza riuscire a realizzarla)con il pianoforte di Stefano Battaglia, la voce incantata della friulana Elsa Martin, le movenze magiche dell’attore Tapa Sudana e le musiche e immagini di Michele Ferrari. Infine, il concerto simbolo di questa edizione del Festival ,MoZuluArt, come integrare la consistente leggerezza del divin fanciullo Mozart con un pianoforte classico, e le irresistibili polifonie e movenze di tre cantori e danzatori Zulu. Un incanto possibile.

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