Grigory Sokolov è, con Pollini, tra i pianisti più acclamati dal pubblico romano. Per il suo concerto interamente dedicato a musiche tedesche – salvo i bis, sei! – ha ricevuto addirittura ovazioni da stadio. Meno male che almeno nel mondo della musica non si scatenano guerre di appartenenza e di possesso. Una grandissimo pianista russo suona sublime musica tedesca e il pubblico italiano lo applaude. Il pezzo con cui Sokolov ha cominciato il concerto, al Parco della Musica di Roma, per la stagione da camera dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, è quasi un manifesto della sua concezione di che cosa debba essere un interprete: Le 15 Variazioni e fuga op. 35 su un tema originale, dette anche, impropriamente, variazioni su un tema dell’Eroica, sono molto di più che una sintesi, quasi un trattato, dei sistemi di composizione, sono un concentrao di come da una singola, breve idea, si possa edificare un monumento musicale. A cominciare dal fatto che l’esposizione del tema vero e proprio e delle sue variazioni è preceduta dall’esposizione e rielaborazione del basso a due, tre e quattro voci: quasi a esibire i fondamenti della composizione. Il tema è quello della controdanza che chiude il balletto Le creature di Prometeo, usato da Beethoven per queste variazioni pianistiche e per il Finale della Terza Sinfonia, “Eroica”. L’intento è anche ideologico: proclamare la vittoria della rivoluzione francese – siamo nel 1802 – e la controdanza è una danza borghese, la danza con cui Prometeo-Napoleone rifonda la civiltà umana.

Ma la straordinaria partitura è anche un abisso di invenzioni compositive: sono prefigurati le musiche a venire almeno fino a Šostakovic.

MA LA STRAORDINARIA partitura è anche un abisso di invenzioni compositive: sono prefigurati le musiche a venire almeno fino a Šostakovic. Il russo Sokolov lo sa. La chiarezza con cui espone gli artifici del contrappunto, la variabilità del tocco che ubbidisce alla logica del contrappunto, stanno lì a dimostrarlo. Seguono i Tre Intermezzi op. 117 di Brahms e i Kreisleriana op. 16 di Schumann. La logica della costruzione resta quella beethoveniana: da una minima cellula, un intervallo, un ritmo, si costruisce un monumento di vastità impensabili. Ma senza per questo rinunciare all’effusione melodica, allo slancio emotivo, al furore eroico. In Schumann, più che in Brahms. Brahms è ormai sul finire del secolo XIX, e il mondo da lui amato sta scomparendo. Guarda nell’abisso, nel dissolvimento delle forme così a lungo difese, e sembra arrendersi: la cantabilità è trattenuta, nostalgica, lo sviluppo delle idee intricato.

SCHUMANN, invece, resta ancora in equilibrio tra sapienza costruttiva e slancio emotivo, e la cantabilità è travolgente. Ma l’inquietudine corrode inesorabilmente anche la sua musica. Ed è proprio questa inquietudime, questa irrequietezza, questa sfida ai limiti, che Sokolov traduce sulla tastiera: dai suoni di Beethoven, di Schumann, di Brahms s’intravedono altri deliri, altri dissolvimenti. Che, in parte, già si mostrano nei generosi sei bis concessi a un pubblico osannante, tra cui Chopin, Brahms e un Bach che aveva già prefigurato tutto questo.