L’incanto che cura le anime
Medioevo Un percorso di letture su Francesco da Assisi, nella storia delle rappresentazioni tra mito e arte
Medioevo Un percorso di letture su Francesco da Assisi, nella storia delle rappresentazioni tra mito e arte
I decenni immediatamente successivi al Mille rappresentarono un momento di svolta nella vita delle comunità cristiane: per fronteggiare le richieste di maggiore partecipazione del laicato nella vita della Chiesa sorsero movimenti religiosi e di predicatori dotati di caratteri «rivoluzionari» rispetto al passato. Alcuni di questi, come i Valdesi, non furono integrati all’interno della Ecclesia, e vennero dichiarati eretici. Altri, però, conobbero una sorte differente. Agli inizi del Duecento crescevano i due Ordini, il francescano e il domenicano, che più di tutti gli altri avrebbero contribuito a mutare la storia sociale della «cura delle anime» e dunque del rapporto con il laicato.
A partire dal 1206 Domenico di Guzman, accompagnato dai suoi discepoli, cominciò la sua attività di predicatore in Linguadoca; pochi anni dopo, nel 1209 o 1210, Francesco d’Assisi venne autorizzato da Innocenzo III a predicare la penitenza. Inizialmente fu l’Ordine domenicano a presentare caratteri di maggiore innovazione ma anche di totale integrazione nel sistema, perché più colto e, soprattutto, in quanto nato appositamente come Ordo praedicatorum per l’apostolato e la lotta contro gli eretici. Nel corso del secolo comunque furono i francescani a riscuotere un prodigioso successo.
LA PREDICAZIONE di Francesco a favore degli umili e della paupertas (da intendersi non solo come «povertà», ma anche come rinuncia volontaria all’esercizio di privilegi e diritti), la sua figura carismatica, ebbero un successo straordinario e lasciarono un segno nel cristianesimo medievale e moderno. In questo 2019 si parlerà dell’anniversario di uno fra i momenti più discussi della vita di Francesco: la visita al sultano ayyubide Malik al-Kamil nel 1219, durante quella che siamo soliti chiamare «quinta crociata». Arriveranno nuove pubblicazioni a celebrare o a rimettere in discussione un evento dai contorni assai incerti, al punto che c’è chi dubita sia mai avvenuto. Intanto, però, su Francesco e il francescanesimo è uscito un volume con un piglio differente dal solito: Francesco da Assisi. Storia, arte, mito (a cura di Marina Benedetti e Tomaso Subini, Carocci, pp. 374, euro 31).
SOLTANTO LA PRIMA sezione del volume, la più breve, è dedicata alla vita di Francesco. D’altra parte, come sottolinea Giovanni Grado Merlo nel saggio di apertura, esiste una dualità fra il frate Francesco «in sé» e il «san Francesco per noi». Tale dualità arriva presto, con le interpretazioni della sua vita e della sua Regola, con le «metamorfosi divulgative», come le chiama Marina Benedetti, e con l’iconografia. Per questo una larga parte di Francesco da Assisi. Storia, arte, mito è dedicata al santo di Assisi rivisto da filosofia, psichiatria, politica, letteratura, musica, teatro, cinema e così via. Non c’è quindi spazio soltanto per un Francesco ridotto a «santino», come spesso capita di vedere, ma anche il «santo di Suburra» di Pier Paolo Pasolini. Il punto non è decidere se si tratta di mistificazioni, quanto capire in che modo, a seconda dei momenti e degli intenti, ci si sia «appropriati» (nel senso dato al termine da Roger Chartier) di Francesco e della sua storia.
Anche i contesti cambiano con il tempo, e non è neppure necessario che ne passi molto. Un episodio contenuto nella seconda redazione della Vita scritta dal discepolo Tommaso da Celano racconta come Francesco, indeciso su un’azione da intraprendere, avesse aperto a caso tre volte il Vangelo e dal primo verso apparso avesse tratto un responso. Si tratta di una tradizione che noi chiameremmo magica o superstiziosa, ma che aveva credito e tradizione nella Chiesa: Sulpicio Severo narra che san Martino era stato scelto come vescovo di Tours attraverso la medesima pratica, detta delle sortes Apostolorum. Tuttavia, sant’Agostino aveva condannato coloro «che leggono le sorti dalle pagine del Vangelo», poiché le sortes erano una pratica precristiana, ossia tavolette o bastoncini recanti un responso che si estraevano da un pozzo o da un’urna; ne dà testimonianza Cicerone a proposito del santuario della Fortuna Primigenia di Preneste (odierna Palestrina).
A PARTIRE dal Quattrocento, l’Osservanza francescana, che pure affermava di voler riportare il movimento alla purezza delle origini, perseguirà con accanimento questo genere di pratiche, reputandole «pagane». Una bella e ampia casistica di formule e scongiuri simili a questo e che emergono dalla letteratura medievale, pur avendo spesso origine (o almeno una fruizione) folklorica, è presentata dalla raccolta Incantamenta Latina et Romanica. Scongiuri e formule magiche dei secoli V-XV (a cura di Marcello Barbato, Salerno Editrice, 148 pp., 32 euro). Correttamente contestualizzato e presentato dal curatore, questo insieme di testi offre uno sguardo su un Medioevo «altro», che tuttavia non è marginale, ma si intreccia invece, come abbiamo visto, con la storia «ufficiale» della cultura di quei secoli.
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