L’impegno estremo dei sacerdoti
America Latina Ieri come oggi, una divisione tra la chiesa degli oppressori e quella dei perseguitati
America Latina Ieri come oggi, una divisione tra la chiesa degli oppressori e quella dei perseguitati
Il volto dell’America latina, oggi, è anche quello dei presidenti che hanno preso le armi contro i dittatori cresciuti a Fort Benning, in Georgia, la “Scuola delle Americhe” dove venivano addestrati a partire dal 1946. E dove ogni anno continuano a manifestare i sopravvissuti alla guerra civile salvadoregna. Oltre a Fidel e Raul Castro, a Cuba, alla guida del Nicaragua c’è il sandinista Daniel Ortega, a quella del Brasile c’è Dilma Rousseff e c’è stato in Uruguay l’ex tupamaro Pepe Mujica. E ora in Salvador – il secondo paese centroamericano che prova ad affrancarsi dalla tutela Usa – c’è Salvador Sanchez Céren, ex dirigente del Fronte Farabundo Marti per la liberazione nazionale (Fmln), eletto il 9 marzo del 2014. Céren ha vinto di misura al secondo turno contro Norman Quijano, candidato del partito Arena: il rappresentante dell’estrema destra, fondata da Roberto d’Aubuisson, lunga mano della Cia e mandante dell’assassinio del vescovo Romero. Il nome di battaglia di Céren era allora Leonel Gonzales e fu uno dei comandanti che firmarono gli accordi di pace, il 16 gennaio del 1992.
Dopo un lungo negoziato sotto l’egida dell’Onu, l’accordo conclude la lunga e sanguinosa guerra civile. La Commissione per la verità documenta che le forze armate, i paramilitari, i corpi di sicurezza e gli squadroni della morte portano la responsabilità delle circa 80.000 vittime e degli 8.000 scomparsi. Fra questi, molti cristiani rivoluzionari, preti e suore “terzomondiste” come il sacerdote Rafael Ernesto Barrera, che decise di imbracciare le armi con il nome di battaglia Neto e che venne ucciso il 26 novembre del 1978. A lui e a tutti quelli che – come Camillo Torres in Colombia – hanno scelto una coerenza estrema in America latina, continuano a rendere omaggio i rivoluzionari del continente. Nei quartieri poveri del Salvador, Romero era celebrato come santo già subito dopo la sua morte. E in Centroamerica si ricorda anche la figura del vescovo Juan Gerardi, ucciso il 26 aprile del 1998.
Durante il periodo di oscurantismo seguito alla caduta dell’Unione sovietica e al dilagare del neoliberismo in America latina, il peso della chiesa di base si è drasticamente ridotto. E i presidenti che sono tornati a governare, come Ortega in Nicaragua, hanno dovuto fare i conti con le posizioni conservatrici dei vescovi, che intervengono pesantemente nelle scelte politiche. Anche fra i capi di stato che governano per il “Socialismo del XXI secolo”, alcuni (come Correa in Ecuador e prima Chavez in Venezuela) si dichiarano cristiani. Ricordare la resistenza di preti e suore che, dall’Argentina al Cile, dal Brasile alla Colombia e al Venezuela si sono schierati a fianco degli oppressi, ieri come oggi, torna ad assume un significato politico. Quando Bergoglio è stato eletto papa, la polemica sul suo ruolo di gesuita troppo silente ai tempi della dittatura ha riproposto la necessità di ricordare una figura di resistenza come quella di Romero. E la battaglia per la verità portata avanti in Guatemala da chi non dimentica il vescovo Gerardi, si unisce a quella di chi non si rassegna a pacificare nei medesimi meccanismi di dominio l’eredità della resistenza alle dittature degli anni ’70 e ’80. I preti di base del Brasile, che contano numerose vittime durante la dittatura, hanno accompagnato l’elezione e la vittoria di Rousseff. E fra i movimenti popolari che hanno risposto all’appello di papa Bergoglio, qualche mese fa a Roma, la gran parte era cristiana e ha perorato la canonizzazione di Romero. Anche il Venezuela di Maduro ha inoltrato a Bergoglio la richiesta di una canonizzazione: quella del medico dei poveri Gregorio Hernandez. Durante la visita in Vaticano, Maduro ha precisato il senso del suo rapporto con la chiesa: «Sarebbe bello – ha detto – che papa Francesco ci aiutasse a organizzare le Misiones in Africa». Le Misiones: non progetti di carità, ma auto-organizzazione politica. Santi «di classe» contro i santini del potere, come quelli inalberati dal sindaco di San Salvador che ha dedicato una via a Roberto d’Aubuisson.
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