Visioni

Limonov poeta ribelle, pericoloso come una granata pronta ad esplodere

Limonov poeta ribelle, pericoloso come una granata pronta ad esplodereBen Wislow in «Limonov»

Al cinema Nelle sale il film di Kirill Serebrennikov

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 12 settembre 2024

La ballata a cui allude il titolo originale del film di Kirill Serebrennikov Limonov, The Ballad mette l’accento sulla colonna sonora che attraversa diverse epoche dagli anni Settanta al duemila, come a sottolineare l’esplosiva personalità del protagonista con i rivoluzionari (e proibiti) ritmi del rock in evoluzione. «Limònov» che evoca in russo la parola «granata» intesa come bomba a mano è lo pseudonimo di Eduard Veniaminovic Savenko. Eddie, studente, operaio, poeta, pronto a esplodere e a dar inizio a una sommossa, presente sulla scena con l’obiettivo di diventare un eroe, il più grande poeta russo della sua epoca, l’autentico volto ribelle della sua generazione. Si trova in una condizione difficile, né poeta ufficiale né dissidente, nutre un profondo disprezzo per Brodskij e per Solzenicyn «che finge di essere antisovietico».
Già a cominciare dal suo pseudonimo infastidisce le autorità preposte alla cultura, che come sempre nei vari paesi comunisti si mostravano amichevoli e insieme pronti al ricatto. L’alternativa è diventare una spia dei circoli intellettuali o finire in prigione per i suoi comportamenti poco consoni, con l’accusa ufficiale di distribuzione di samizdat, reato penale. Quando incontra Helena, altrettanto burrascosa, il suo personale sturm und drang lo porta a ferirsi brutalmente di fronte alla sua porta chiusa, a scrivere il suo nome a caratteri cubitali sui muri con il sangue che sgorga e svenire. Lui adora la pazzia, non gli interessa niente altro. Lei naturalmente lo sposa. La scelta è prendere la via dell’esilio, nel ’75 arrivano a New York dove l’euforia li travolge, poi si scontrano con lo stesso clima di miseria, ma di segno diverso: mentre a Mosca la povertà è condivisa, nel mondo capitalistico l’ineguaglianza economica è ostentata.

IL FILM mantiene al centro il protagonista con passaggi stilistici che lo accompagnano, dai fumosi e alcolici interni moscoviti alle atmosfere da New American Cinema più simili a riprese documentaristiche, con qualche tocco lisergico a sottolineare le visioni d’epoca. Limonov diventa un clochard, poi, stanco degli abissi della povertà, diventa maggiordomo presso un miliardario che lo protegge. La sua strada è segnata, percorsa anche dagli altri connazionali celebri: pubblicherà in Francia diventerà famoso, potrà tornare in patria a presentare i suoi libri, sarà arrestato, ma raggiungerà la fama, le band punk cantano i suoi versi («sono un tritone vissuto in un ruscello…»). Entra nella storia della letteratura, ma anche nella politica con lo stesso tocco di follia, pronto a New York a combattere il capitalismo se solo trovasse qualcuno a seguirlo, tornato in Russia a organizzare piccoli manipoli «rossobruni» (termine inventato da lui), per riaffermare la ricostruzione dell’impero, si unisce all’esercito serbo, cecchino a Sarajevo (citazione di Serbian epics il bel documentario di Pawlikowski che di Limonov è sceneggiatore), finisce in Siberia per tentativo di colpo di stato quando esce è il trionfo. «Non morirò nel mio letto, sarebbe così ingiusto», dice, ma è stato proprio così, scomparso nel 2020 in piena pandemia, dimenticato. Sulla base della biografia di Emmanuel Carrère (pubblicata in Italia da Adelphi nel 2011) Serebrennikov passa dalle luci di New York, alla caduta del muro di Berlino, alla perestroika da cui il poeta prendeva le distanze, alla fondazione del partito nazionalbolscevico, evocando senza strappi epoche differenti, con un senso di continuità dal film biografico, alle citazioni, a tocchi di documentario: tutto il film è stato girato in Russia e le ultime riprese bloccate al momento dell’invasione dell’Ucraina, terminate in Lituania.
Interprete perfetto è l’inglese Ben Wislow, nella sua carriera è stato Amleto, Keith Richards, Rimbaud.

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