Michel Foucault, l’immanenza della libertà
Michel Foucault A trenta anni dalla scomparsa, l’opera del filosofo francese costituisce ancora un laboratorio teorico da esplorare. In Italia pubblicate da Feltrinelli le lezioni al Collège de France su «Il governo dei viventi»
Michel Foucault A trenta anni dalla scomparsa, l’opera del filosofo francese costituisce ancora un laboratorio teorico da esplorare. In Italia pubblicate da Feltrinelli le lezioni al Collège de France su «Il governo dei viventi»
Nel trentennale dalla scomparsa di Michel Foucault, la traduzione in italiano del corso al Collège de France Del governo dei viventi (Feltrinelli, pp 384, euro 35, a cura di Pieraldo Rovatti e Deborah Borca) è l’occasione per raccontare gli ultimi cinque anni di ricerca del filosofo francese. Dal 1980 al 1984 Foucault rivoluziona ancora una volta il suo pensiero. Questa svolta è stata considerata come un riflusso del critico del potere verso tematiche narcisistiche. Il passaggio dall’analisi del sistema carcerario di Sorvegliare e punire alla genealogia delle pratiche di sé nell’antica Grecia o negli stoici di epoca romana a molti era sembrato la sublimazione della singolarità di un filosofo dichiaratamente omosessuale o la celebrazione di un dandysmo trasgressivo.
Nulla di più fuorviante, come lo stesso Foucault ha precisato a lungo e tempestivamente. Le ricerche sulla politica e il sistema carcerario che lo avevano reso celebre come intellettuale militante con la pubblicazione di Sorvegliare e Punire nel 1975 erano uno degli assi etico-politici di un percorso che dal 1976, con la pubblicazione del primo volume sulla storia della sessualità (La volontà di sapere), si sarebbe sviluppato in seguito anche su un’asse etico-sessuale.
La natura del potere
Fino a quel momento, Foucault aveva analizzato la sessualità nella modernità occidentale dal XVI al XIX secolo. A partire dal 1977, e da questo corso nel 1980 in poi, la studia nell’antichità greco-romana e nei primi secoli del cristianesimo. Questo viaggio tra epoche storiche molto lontane ha suscitato perplessità tra gli storici e gli esperti delle discipline che Foucault seziona e ricompone, seguendo obiettivi che non rispettano apparentemente l’oggettività di una ricerca storica né la linearità della storia della filosofia.
Gli affondi genealogici sulla storia della sessualità o sull’economia del potere pastorale cristiano basato sulla confessione, non vengono operati da Foucault in qualità di storico o di filosofo di professione. La storia, anche quella della filosofia, lo interessa nella misura in cui può sviluppare l’analisi a partire da un problema che si pone nel presente: la liberazione del soggetto e la costituzione dentro e contro il potere di una soggettività autonoma.
Negli ultimi cinque anni della sua vita, Foucault ha indirizzato le energie sullo studio delle lotte contro gli assoggettamenti etici. A suo avviso, nel XX secolo il principale obiettivo di queste lotte è stato quello di battersi non solo contro le istituzioni del potere, di classe o delle élite, ma contro una forma di potere che fissa il soggetto in una individualità cristallizzata imponendole l’identificazione con una verità, l’unico regime in grado di trasformare l’individuo in soggetto. Per questa ragione egli è risalito alle origini del cristianesimo identificando nel potere pastorale il modo per assoggettare l’individuo alle pratiche del battesimo, della confessione, della penitenza o dell’esame di coscienza.
Queste motivazioni sono chiare nel governo dei viventi dove Foucault analizza gli «atti di verità» nel cristianesimo delle origini dopo quattro incontri dedicati allo studio dell’Edipo Re. Questo studio sulla tragedia greca continuerà negli anni successivi sviscerando le ragioni della parresia, intesa come il coraggio di chi dice il vero al potere. Nel frattempo, dal 9 gennaio al 26 marzo 1980, Foucault discute le pratiche attorno alle quali si è strutturato l’obbligo degli uomini di esprimere ciò che sono in vista della remissione delle colpe e della salvezza. Sono questi gli elementi sui quali si è iniziato a costruire il dispositivo della «soggettivazione» che oggi lavora «da dentro» il soggetto trasformandolo in un «fedele» o in un «cittadino» di una società disciplinata.
Negli anni Settanta, in corsi come Bisogna difendere la società, Foucault aveva studiato queste pratiche nella modernità. Il soggetto da lui descritto era però sembrato il correlato alienato dei dispositivi che lo governavano, un’identità imposta dallo Stato, dai sistemi normativi della sessualità tramite l’educazione, la giustizia, il carcere o dai campi del sapere della medicina o della psicologia. In questo universo concetrazionario, la salvezza poteva essere trovata solo nella follia, nel crimine, nell’estetica o nella letteratura.
Calibrando invece il baricentro della ricerca sulle tecniche di esistenza dei greci o degli stoici, Foucault fa emergere un’altra tipologia del soggetto: non più costituito dall’alto, ma attraverso pratiche regolate da lui stesso. La sua tesi è che questo progetto rimandi ad una serie di pratiche di «controcondotta» che non solo portano il soggetto a resistere, ma a costituirsi diversamente rispetto alla verità stabilita dall’autorità politica o religiosa. Il cuore di questa strategia è la conoscenza di sé e la «forza del vero» ricercata attivamente dal soggetto il quale, una volta esperita tale conoscenza, inizia ad agire sul governo delle proprie condotte e di quelle altrui. In altre parole, compie un’azione politica di segno diverso rispetto a quelle fatte sotto l’egida dello stato, del mercato o del potere i quali impongono dall’alto una verità in forza di un regime prestabilito della verità.
Per Foucault la lotta in corso non è tanto quella di liberare l’individuo dallo Stato e dalle sue istituzioni, quanto di liberare noi stessi dallo Stato e dal tipo di individualizzazione a cui siamo legati. Gli strumenti per «creare nuove forme di soggettività» in un mondo come quello neoliberale, descritto tra il 1978 e il 1979 nei corsi su La nascita della biopolitica e Sicurezza, territorio e popolazione, sono stati adottati sin dall’antica Grecia e a Roma, pefezionati o stravolti dal cristianesimo. E hanno accompagnato la modernità, come il filosofo dimostra nella folgorante analisi della filosofia cinica e delle pratiche militanti socialiste nel XIX secolo ne Il coraggio della verità.
Estetica dell’esistenza
Dalla conoscenza di sé deriva un’ipotesi, sempre aperta e da verificare, di governo di sé e degli altri. Concepire un’idea «vera» significa collaborare a creare una società più giusta. Da questo lavoro etico sull’esistenza, che comprende anche l’«estetica dell’esistenza» fonte di malintesi, il soggetto potrà ambire a cambiare il suo modo di vivere creando regimi normativi o di governo diversi da quelli dov’è nato.
Per fare questo bisogna trasformare il discorso sulla verità, riservata al cristianesimo, allo Stato oppure alla storia della filosofia, in un principio permanente e attivo di un soggetto che si tiene lontano tanto dalle costituzioni trascendentali, quanto dalle fondazioni morali. Il «vero» non si limita ad un discorso, ma è una ragione di vita che si sperimenta mettendola alla prova tramite una verifica. Ciò che Foucault ha messo a disposizione è un’etica dell’immanenza, della critica e della strategia in una vita che stabilisce la piena appartenenza a se stessa e alla sua storia.
L’oggetto di questo pensiero dell’immanenza è la politica della verità. La sessualità rappresenta uno degli ambiti, non l’unico, dove si svolge questa lotta. Il soggetto, di cui Foucault vuole fare la storia, è il risultato, ma anche la condizione di una tensione politica continua. Nelle lezioni del governo dei viventi, questa tensione viene intesa come aleturgia. Rispetto all’uso che di questo concetto (alétheia) ne ha fatto Heidegger, Foucault abbandona gli aspetti metafisici legati alla rappresentazione (la verità come «svelatezza»), preferendo l’aspetto del resto noto allo stesso Heidegger: la verità viene esperita nella vita del soggetto, quello che sostiene Platone nel mito della caverna. Foucault fa un passo in avanti e definisce tale verità in quanto aleturgia «l’insieme delle condotte, verbali e non, attraverso le quali emerge ciò che è posto come vero in opposizione al falso, al nascosto, all’indicibile, all’imprevedibile, all’oblìo».
Le regole della coscienza
Su questa base egli affronta il cristianesimo dal punto di vista degli atti di confessione e non degli atti di fede ai quali di solito si presta più attenzione. Per Foucault sono il prodotto di due regimi di verità distinti, strettamente collegati ma che rispondono ad una morfologia differente: l’exomologesi, manifestazione drammatica di se stessi attraverso la quale il peccatore chiede di essere riammesso nel corpo della chiesa nel rito della penitenza canonica; l’exagoreusis, la pratica dell’esame di coscienza nel quadro della direzione monastica.
Il discorso si concentra su quest’ultima pratica orientata verso la permanente verbalizzazione dei moti più segreti della coscienza che le regole monastiche riprendono dal vecchio precetto delfico «conosci te stesso» trasformandolo nella confessione dei pensieri alla guida spirituale. Per Foucault è l’inizio dell’ermeneutica del sé, una pratica nata da un’ingiunzione etica che il soggetto pone a se stesso e che costituisce l’origine della soggettività moderna.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento