L’immagine inafferrabile di Bowie negli scatti di Sukita
Eventi Al Medimex la mostra per il quarantesimo anniversario dell'uscita di «Heroes», con scatti - anche inediti- del grande fotografo giapponese
Eventi Al Medimex la mostra per il quarantesimo anniversario dell'uscita di «Heroes», con scatti - anche inediti- del grande fotografo giapponese
Un meraviglioso e giovane David Bowie si aggira per un mercato, in strada e nella metro di Tokyo. Sono alcune delle foto a colori inedite della mostra David Bowie & Masayoshi Sukita: Heroes – 40° anniversario, inauguratasi ieri al Castello Svevo di Bari (fino al 2 luglio 2017), all’interno del Medimex, special edition. Sessanta immagini per evidenziare una straordinaria sintonia, tra artista e fotografo, Bowie e Sukita, uno di quei momenti cruciali della storia del rock ma anche tante foto di Iggy Pop, camicia bianca e cravatta scura, a suo agio anche tra le anziane geishe col kimono, atteso sabato sera in un concerto dal vivo. La sessione fotografica, a Tokyo, nel 1977, durò solo due ore. «David – ricorda Sukita, oggi alla soglia degli 80 anni, davvero simile al maestro di Karate Kid – si muoveva in continuazione, cambiava espressioni, voleva esprimere la sua energia, io ci vedevo anche un pizzico di follia, di surrealismo». Solo dopo alcuni mesi dalla seduta Bowie contattò Sukita per chiedergli se poteva utilizzare una delle immagini per la cover del secondo album della trilogia berlinese. «Gli mandai una ventina di scatti e segnai i tre che preferivo. Un giorno – continua Sukita- mi chiamò e mi chiese una di quelle foto. Ma non sapevo ancora che sarebbe diventata la copertina di Heroes». Tra l’altro, lo shooting non fu mai commissionato a Sukita dalla casa discografica di Bowie ma concordato tra i due in occasione della permanenza di Bowie in Giappone per la promozione del primo album da solista di Iggy Pop, The Idiot. Un conferma della relazione non solo professionale, ma anche artistica, tra Sukita e Bowie.
Una relazione nata nel 1972 quando il fotografo arrivò a Londra per immortalare Marc Bolan e i T-Rex. Sebbene non sapesse chi fosse Bowie, decise di andare ad un suo concerto perché irresistibilmente attratto dal cartellone di The Man Who Sold the World che lo promuoveva. «Il mio sguardo fu catturato dal suo genio creativo mentre lo osservavo muoversi sul palco insieme a Lou Reed, e mi apparve subito differente dagli altri rock and rollers.
Era assolutamente da fotografare». Sukita riuscì finalmente ad incontrare Bowie di persona grazie all’aiuto dell’amica e stylist Yasuko Takahashi, che era già stata la mente delle prime sfilate londinesi di Kansai Yamamoto, l’autore dei costumi di scena di Bowie ai tempi di Ziggy Stardust, altro periodo al centro della mostra in programma al Medimex. Takahashi propose un portfolio con i lavori di Sukita all’allora manager di Bowie che gli accordò uno shooting. E da allora cominciò una relazione professionale e umana tra i due che è durata sino alla scomparsa del musicista inglese. In particolare , nel 1989, Sukita rincontrò un Bowie più maturo e con la barba per il lancio dell’album dei Tin Machine, un uomo ancora più elegante e misterioso, lontano dai giubbotti di pelle della session di Heroes e vicino invece alla sua interpretazione intensa di Merry Christmas Mr.Lawrence, il film con Sakamoto. Ritratti ancora oggi vagamente onirici e creativi, inafferrabili.
“Ho vissuto alcuni anni a New York, all’inizio degli anni settanta – aggiunge Sukita – ero un grande appassionato di jazz e mi sono avvicinato molto anche ai Velvet Underground e Andy Warhol. Il genio della Factory amava essere fotografato in piedi vicino a una finestra, recitava la parte di essere un prodotto industriale come un altro, di essere la copia di qualcosa. Lui ideò poi la copertina di Sticky Fingers dei Rolling Stones, con la cerniera del pantalone in copertina. Me ne autografò una decina e li ho regalati a tutti gli amici. In quell’occasione conobbi Lou Reed e Mick Jagger ma ero molto interessato alla pop art, sebbene non perdessi i concerti che si facevano al Max Kansas e al Cbgb. Tornando a Bowie e Iggy Pop, io credo che fossero dei personaggi totalmente diversi che si completavano, che cercavano nell’altro quello che non avevano. Bowie vedeva in Iggy Pop la sua parte più oscura e Iggy identificava la sua parte razionale in Bowie che l’ha aiutato a rimettersi in carreggiata, a ripulirsi dalle droghe e a far ripartire la sua carriera musicale. Credo che si sia creata con David Bowie una sintonia positiva, un’alchimia speciale, lui era un performer davvero stupefacente, in mostra ci sono alcune immagini che gli ho scattato durante il tour americano degli anni settanta, col pubblico a pochi metri e lui sudato e a torso nudo. La foto che ho scattato a Bowie nel 1977, quella diventata poi la copertina di Heroes, appartiene al passato e io sono andato avanti provando a coniugare l’antica cultura giapponese con lo spirito dei tempi. (ndr, mostra alcune foto strabilianti di Marc Bolan e altre di musicisti e artisti con volti di animali, fiori e altre grafiche innovative)
Il commiato è stato a una mia mostra personale a New York nel 2015. Io invitai Bowie ma non sapevo che già stesse male. Bowie venne a visitarla un giorno, senza dirmelo, e poi mi mandò un messaggio molto caloroso ed emozionante, “un artista che lavora da oltre 40 anni al rapporto tra cultura dell’Est e dell’Ovest, un maestro assoluto e un uomo modesto”. L’ho ringraziato ma poi non l’ho sentito più.
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