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Liliana Moro, arte sulla soglia del «pegno»

Liliana Moro, arte sulla soglia del «pegno»Liliana Moro, «Giovanna e la luna», 1996 (Collezione privata, foto di Roberto Marossi)

Incontri L'artista racconta la sua opera e il suo modo di lavorare, a partire da «In Pegno», ospitato dal Museo della ceramica di Savona

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 3 dicembre 2022

In questi ultimi anni, complice l’esacerbante crisi economica, stiamo assistendo a un forte incremento delle richieste di credito su pegno. Non solo disoccupati, ma anche liberi professionisti e imprenditori hanno ripreso a impegnare oggetti preziosi che oltre al valore economico portano con sé anche quello affettivo. Questo servizio, oggi offerto da banche o società finanziarie, in epoca tardomedioevale veniva svolto dai Monte di Pietà.

L’opera In Pegno pensata da Liliana Moro per l’ex sede del Monte di Pietà di Savona, oggi Museo della ceramica, parla di questa storia. Moro è un’artista visiva italiana abituata a sperimentare con vari materiali e il cui lavoro, negli anni, ha ottenuto ampio riconoscimento internazionale (è stato presentato a Documenta IX a Kassel e in occasione di diverse edizioni della Biennale di Venezia). Negli anni in cui dirigevo il Museo, si pensava di celebrare la storia del luogo commissionando a un artista un’opera site-specific in ceramica.

Mi veniva spesso in mente lo struggente lavoro in terracotta di Liliana Moro Giovanna e la Luna: una donna accovacciata, piccola, fragile e impaurita, si nasconde dentro a una struttura a spirale. Data la sua conoscenza del materiale, apprezzandone la poeticità del lavoro e conoscendone la capacità di mettersi in ascolto dei diversi contesti in cui opera, proposi questa artista per il progetto di riflessione sulla storia del Museo.

Il suo intervento fa oggi parte della collezione permanente del museo. Allestito in dialogo con ceramiche del Sei-Settecento e opere recenti, In Pegno è stato rivelato al pubblico nel corso della Giornata del contemporaneo indetta da Amaci.

A poche settimane dalla presentazione di «In Pegno», ci puoi raccontare il percorso di quest’opera, dall’ideazione alla realizzazione?
Vale la pensa ricordare che il lavoro mi è stato commissionato per un esterno, la facciata del Museo della ceramica di Savona. Pensare a un’opera per un muro esterno richiede, rispetto a un lavoro destinato a un interno, un pensiero completamente diverso. Inoltre, si trattava di un intervento destinato a un palazzo storico, vincolato.
La relazione con la storia del palazzo è nata dopo, da un nostro dialogo: mi hai raccontato che questo edificio di origine medievale nel Quattrocento divenne sede del Monte di Pietà per volere del papa savonese Sisto IV. Questa sua «biografia» ha scavato dentro di me.
Come sempre accade, i lavori rimangono aperti a ciò che arriva. Lo stesso materiale è «arrivato» dalla storia del territorio. Savona e Albisola sono i luoghi della ceramica e vantano una grande tradizione di artisti enormi che hanno «modellato» la ceramica proprio in questa zona. Il mio progetto, dunque, è nato proprio da questo confronto con il territorio, la sua storia e le sue tradizioni.

Insomma sei partita dal contesto storico e sociale del luogo ma anche da una riflessione sul passato che ci ha traghettato nel presente…
Viviamo in un’epoca molto particolare, caratterizzata dalla mancanza di una politica vera, forte, e dalle paure scatenate dal Covid prima e dalla guerra adesso. Numerose persone si trovano in situazioni di fragilità e, oggi come allora, decidono di attraversare la soglia del Monte di Pietà per ottenere sostegno lasciando «in pegno» quello che hanno di più prezioso e più caro, gioielli di famiglia, fedi nuziali, ricordi.

Abbiamo ragionato a lungo sui termini «pegno» e «impegno» che poi hai scelto come il titolo dell’opera.
Sì, il lavoro che si è arricchito proprio sul ragionamento dei termini «pegno» e «impegno». L’impegno è sempre un atto di responsabilità sia verso noi stessi sia verso la comunità, ritengo quindi che questo termine abbia anche una connotazione politica forte.
La natura di questo luogo è stata il punto di partenza del mio ragionamento. Mi sono chiesta su quali forme lavorare e ho cominciato a pensare a delle formelle con bordi irregolari perché volevo conferire a un’opera, inizialmente destinata a una facciata, un certo movimento. Ho quindi voluto comporre le formelle come in una sorta di puzzle che però, tra un pezzo e l’altro, permettesse di lasciare degli spazi vuoti attraverso i quali si potesse intravvedere il colore del muro.
Per le cromie, ho ripreso il blu della ceramica tradizionale di Savona, ma anche l’oro, l’argento e il nero. Quest’ultimo è l’ombra, è il rovescio della medaglia che c’è in tutte le cose. L’oro e l’argento sono invece legati a ciò che è prezioso, agli oggetti di valore che si sono scambiati nel tempo al Monte di Pietà. Per le forme, sono partita dall’idea degli ex voto intesi come un ringraziamento per qualcosa che si è ricevuto. Le loro composizioni sono una raffigurazione di tutte le persone che si sono avvalse del servizio del Monte e che vengono qui evocate attraverso le parti del corpo. Un occhio, un orecchio, una mano, una gamba, un cuore, parlano dell’essere umano di parti importantissime del suo corpo, si riferiscono al guardare, al sentire. E ho pensato di includere anche le navi, perché nella Regione in cui stavo lavorando i porti hanno un’importanza cruciale. Le navi rappresentano i passaggi delle merci, ma anche gli scambi culturali e le migrazioni.

Insomma, insieme agli artigiani ceramisti di Savona e Albisola con cui ho collaborato, abbiamo messo insieme tutto questo ed è venuta fuori un’opera che, appunto, inizialmente doveva essere allestita sulla facciata del palazzo ma che, per varie questioni di tutela, è stata poi collocata su una parete interna del Museo, in una sala in cui dialoga con manufatti storici e arte contemporanea. Il lavoro ha dovuto essere un po’ reimmaginato per essere adattato a una nuova collocazione.

Ti ho coinvolta in questo progetto che prevedeva l’utilizzo della ceramica memore di altri tuoi lavori in cui hai usato lo stesso materiale, penso in particolare al lavoro in terracotta «Giovanna e la Luna»…
Giovanna e la Luna presenta una donna accovacciata avvolta da una sorta di armatura che le copre tutto il corpo e la protegge. L’opera nasce da una performance realizzata nel 1994 nella galleria Schema di Firenze in cui la mia amica Giovanna Lue si mostrava avvolta in una striscia di gomma spugna con una luce rossa in mano, che accendeva e spegneva. Insieme al mio Cavallino di Troia, questa scultura segna i miei primi rapporti con il materiale ceramico.

A cosa stai lavorando ora?
Sto lavorando a una mostra che inaugurerò il prossimo anno al Kunstmuseum di Vaduz, in Lichtenstein, in cui un ruolo importante lo avrà il suono. Nell’ambito di ArtLine, il progetto di arte pubblica del comune di Milano, recentemente ho installato Sundown. L’opera, che verrà inaugurata ufficialmente a breve, è già visibile al pubblico. Dedicata al tramonto, anch’essa è costituita da una parte sonora.
Infine, in questo momento è ancora in corso la mostra collettiva What Wonderful World al Maxxi di Roma che terminerà a Marzo del 2023 e in cui espongo In onda, una traccia sonora per la quale ho rivolto la mia attenzione al fondo del mare.
Come i progetti per Milano e per Vaduz, anche questo lavoro nasce dal mio interesse per il suono. È stato realizzato nel 2021 durante il programma «Rave East Village Artist Residency» che si tiene nella campagna friulana e che sollecita gli artisti invitati a riflettere sulla presunta superiorità della specie umana sulle altre specie. Per elaborare il mio intervento, mi sono avvalsa della collaborazione della riserva Marina del Wwf di Miramare a Trieste che mi ha fornito una serie di tracce sonore registrate nel fondo del mare. Ho rielaborato i suoni che i pesci emettono per comunicare tra loro, inserendo respiri e voci. Al Maxxi questi suoni vengono ascoltati all’interno di una stanza completamente oscurata che riporta all’idea di immersione nello spazio straniante del mare.

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