(…) C’era un gruppo al canale culturale della Rai (il secondo) costituito da Angelo Romanò, Mario Motta, Gennarini, Sergio Silva, Angelo Guglielmi e la sottoscritta con altri giovani che aveva in mente di usare la TV per comunicare su temi sociali e politici urgenti. Un gruppo di generica sinistra convinto che la TV avesse il dovere di parlare al di sopra delle parti.

È in quel gruppo che ho potuto fare la serie di documentari dei miei anni Sessanta. Sia la serie di documentari più strettamente politici (Storia del Terzo Reich, L’età di Stalin, Processo a Vichy, La donna nella Resistenza, Il giorno della pace) sia quelli più sociali (La casa in Italia, Gesù mio fratello). C’erano tante cose da documentare, da meditare. La casa in Italia (’64) erano 4 ore di programma che affrontavano vari problemi uniti al tema «Come vive la gente che non conta, cioè la maggior parte?». Feci un viaggio con troupe da Torino a Palermo per documentare vari fatti: l’inurbamento selvaggio delle città del nord, la trasmigrazione di operai dal Sud, l’analisi su quello che accadeva al Sud coi mezzi che la Cassa per il Mezzogiorno forniva, quello che accadeva in Siciliacon i soldi dell’Ente Riforma. La speculazione edilizia generale. Lo spreco. L’inadeguatezza delle dirigenze. L’ingerenza rozza di gente di partito che puntava soltanto al potere. La miseria. L’ignoranza indifesa nel Sud per la mancanza di una tradizione liberistica e di una classe dirigente civilmente responsabile. Nel Nord la tradizione industriale aveva creato più facilmente il benessere del dopoguerra ma socialmente parlando non guardavano per il sottile.

L’immigrato era soltanto una «unità lavorativa» che trovava sì lavoro ma non trovava accoglienza (Torino specialmente) per sé o per la famiglia. Il Sud desolato da una connivenza (salvo eccezioni) tra partito di potere e autorità religiose. A Palma di Montechiaro c’era – ricordo – una missione valdese che cercava di sollevare la miseria locale come se si fosse in mezzo all’Africa. A Palermo le case fatte col denaro pubblico erano oggetto di speculazione mafiosa e politica. Ho filmato 14 villaggi fantasma. Si tratta di paesini veri costruiti di sana pianta con scuola, chiesa, caserma dei carabinieri ecc. che appena fatti crollavano a pezzi e nessuno li abitava perché lontani da qualsiasi possibilità di lavoro, costruiti spesso in lande desolate. Chi ci aveva guadagnato? I proprietari delle terre, le imprese. Sono riuscita a mandarne in onda solo uno, con pochi accenni, e vengo a spiegare il perché. La DC che allora governava era fatta di due anime, anzi una aveva l’anima l’altra no. Gennarini e Romano erano per il coraggio della documentazione, per il coraggio dell’autocritica, ma un’altra DC non la pensava così. In più, proprionel periodo nel quale le trasmissioni dovevano andare in onda, si realizzò il centro-sinistra tra DC e PSDI. Il PSDI l’anima non ce l’aveva proprio. Era visceralmente anticomunista e considerava comunista chiunque facesse critica allo stato delle cose sociali. Di conseguenza, le trasmissioni, se da un lato ebbero il consenso di molti cattolici (lo stesso Paolo VI vide le puntate e donò una casa a un immigrato), ebbero come massimo nemico il rappresentante PSDI, diventato vicepresidente della Rai proprio in quel momento.

E in quel momento si dava anche il via alla lottizzazione. Di conseguenza l’ultima puntata della trasmissione anziché un’ora durava venti minuti. Ebbi una profonda crisi, l’ebbe anche Gennarini, cristiano autentico. Dopo le mie trasmissioni ne vennero commissionate altre perché raccontassero tutto il contrario. Io vennimessa da parte. Mi raccolse il TG e mi permisero di fare La donna nella Resistenza. Però mi è capitato più di una volta di dire che da allora fare del giornalismo e del documentario in TV non era più una cosa tanto seria.

Gli anni dei documentari sono stati per me una grande scuola di idee e di vita. La mia educazione si svolse nel dopoguerra. Ho fatto studi umanistici (liceo classico prima e poi Lettere antiche all’università) che mi avevano tenuta lontana dalla contemporaneità.

Grazie alla scuola delle inchieste per la Rai ho potuto informare prima di tutto me stessa. (…)