«Light Music», l’ambiente sonoro di Brian Eno
Mostre Aperta al pubblico la personale romana dell’artista britannico. Come David Byrne, Eno intende il suo linguaggio visuale come una sorta di continuum della sua ricerca
Mostre Aperta al pubblico la personale romana dell’artista britannico. Come David Byrne, Eno intende il suo linguaggio visuale come una sorta di continuum della sua ricerca
Il face to face con Brian Eno all’opening di Light Music, la sua personale alla Galleria Valentina Bonomo (via del Portico d’Ottavia, 13,) ha creato un bailamme di fan assetati di selfie e autografi. La sua natura discreta ha resistito poco, poi Eno si è rifugiato in un bar. Come contraddirlo. E come non attenderselo. Del resto Eno, personalità obliqua e anticonformista, ha condizionato la scena musicale e culturale fin dagli anni Settanta, inventore dell’ambient music e catalizzatore di tutta la musica sperimentale dell’epoca.
Chi non ricorda il proscenio inverato dalle sue intuizioni e collaborazioni frenetiche che hanno delineato l’universo musicale? Chi non ricorda l’impatto che costituirono album come More Songs About Buildings and Food 1978, Fear of Music 1979 e Remain in Light 1980 dei Talking Heads frutto della sinestesia collaborativa con l’altro genio David Byrne? Proprio come lui, Eno ha sconfinato nella passione dell’arte e proprio come lui insegue i codici della ricerca con tutta la sua identità innovativa, interferendo col sistema dell’arte contemporanea. Di fatto sia Byrne che Eno, nei loro differenti paradigmi, intendono il linguaggio visuale come una sorta di continuum della ricerca musicale, poiché così funziona nel DNA delle avanguardie, disordinando le tendenze e i gusti dell’epoca. Così è stato per Eno (Brian Peter George St. John le Baptiste de la Salle Eno, Woodbridge, 1948) fin dai suoi inizi, «contagiati» dai riferimenti alla musica contemporanea (John Tilbury e Cornelius Cardew) e in particolare a quella minimal di John Cage, La Monte Young e Terry Riley.
Dall’avvio creativo di For Your Pleasure concepito con i Roxy Music, band che lascia per disseminarsi, da solista, come «non-musicista», autore, produttore, progettista e alchimista del suono. Funky, pop, glam, rock, punk vengono via via fusi con l’elettronica e da cui prendono corpo le collaborazioni incredibili con Robert Fripp (No Pussyfooting, 1973, Evening Star, 1975), John Hassell, Robert Wyatt, Phil Manzanera, David Bowie, Ultravox, Devo, Harold Budd, Cluster, U2, Arto Linsey, Laurie Anderson e innumerevoli altri. Concepisce l’ambient music, sintesi formale di Erik Satie, musica concreta e il minimalismo di Philip Glass, destinata a sonorizzare l’ambiente circostante ad avvolgerlo come una forma fluida, fisica, economica e concettuale. Come lui stesso ha affermato «Un ambiente è definito come un’atmosfera, o un’influenza che circonda: una tinta».
Così nascono i vari Music For Films (1978), Ambient 1: Music For Airports (1979) e altre opere. Precursore della New Wave, compositore di colonne sonore, creatore di etichette musicali, di una agenzia artistica (Opal), di App musicali, scrittore, icona trasgressiva e artista d’avanguardia, insomma Eno ha fuso lo spirito indagatore dell’arte concettuale con le applicazioni della cultura popolare e della sociologia.
L’interpolazione multi-sensoriale che è base della sua attitudine creativa determina ovviamente anche i suoi ambient paintings, alcuni dei quali sono esposti nella mostra appena aperta alla Galleria Valentina Bonomo. I Light Boxes, esposti, sono opere che arridono a quel fluxus sensoriale proprio della post-avanguardia, che scardina la componente contemplativa tradizionale e la trasforma in partecipazione emozionale. Come lo stesso Eno precisa: «Due idee mi hanno caratterizzato sempre: quella di realizzare la musica e i video come se fossero dei dipinti».
I Light Boxes sono opere liquide, mutevoli e sensibili all’environment, interagiscono con lo sguardo dello spettatore.
Ogni Light Box (Un Still, Asynchronous) è un lavoro quadrangolare (65x65x19) in cui le variazioni luminose combinano le alternanze cromatiche che si autogenerano dall’incrocio di luci al LED su perspex. Ogni opera si sottrae così alla linearità temporale, creando una dimensione spazio-tempo iperbolica. Ma i Light Boxes sono ancora di più: sono rizomi policentrici che sembrano rivolgersi, tecnologicamente, agli Omaggi al quadrato di Joseph Albers, quelle complilazioni policrome basate sull’interazione armonica o dissonante degli accostamenti creati dall’artista tedesco confluito nella Bauhaus a partire dal 1943. Eno li fonde ai minimalismi sensoriali di La Monte Young, in maniera particolare alla suggestiva e ipnotica installazione Dream House, il cui suono è un ambiente di onde sonore composite e periodiche, formato da onde sinusoidali generate da un sintetizzatore.
In mostra si sono anche le opere Center Decenter e Tender Divisor il cui medium utilizzato, una superficie lenticolare, conferisce all’immagine stampata l’illusione della profondità e dell’animazione relazionandosi anche con la mobilità visiva del fruitore. L’elemento scultoreo è realizzato con gli Speaker Flowers, ambient sculptures che alludono a gambi floreali costituiti da minuscoli diffusori e che oscillano in base alla vibrazione emessa. Ogni stelo emette una soffusa composizione musicale, il cui suono, ricombinandosi continuamente, veicola l’ascoltatore in uno stato d’animo fluttuante, ambient. Nei nutriti trascorsi di Eno artista si ricorda l’installazione 77 Million Paintings (2006): una successione apparentemente infinita di immagini che si ricombinano e si riconfigurano, grazie alla loro casualità (randomness). L’installazione è stata presentata a Venezia, Bari, Tokyo, Milano, Londra e alla Baltic Gallery di Gateshead.
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