Il poliedro è la figura geometrica più adatta per definire plasticamente Lidia Menapace: cattolica, partigiana, italianista, democristiana, marxista, militante della nuova sinistra, giornalista del manifesto, femminista, pacifista.

TANTE DIMENSIONI, alcune apparentemente inconciliabili – come potrebbero sembrare, a uno sguardo poco attento, cristianesimo e marxismo -, che non sono frutto di una sorta di sincretismo, ma sono invece risultato di una vita in perenne movimento, capace di abbracciare percorsi esistenziali e di ricerca articolati e complessi, preferendo sempre l’agire collettivo al ripiegamento individualistico. Volendo riportare la molteplicità a unità, c’è una parola che costituisce una «stella polare» e che la stessa Menapace diceva di sé stessa: «Sono partigiana per la vita». Quando c’era da combattere il fascismo, quello storico, o da opporsi alla guerra, tornata a essere strumento della politica, tanto da far affermare a Lidia, parafrasando Rosa Luxemburg – una dei suoi punti di riferimento – «pacifismo o barbarie».

A CENTO ANNI DALLA NASCITA di Menapace (1924), è possibile ripercorrere il suo multiforme itinerario attraverso le pagine di Un pensiero in movimento. Scritti scelti (1960-2019), edito da Alphabeta Verlag (pp. 506, euro 24), curato da Carlo Bertorelle e Mariapia Bigaran, che hanno compiuto un’operazione in un certo senso titanica: quella di scandagliare le centinaia di scritti di Menapace (articoli, saggi, libri, opuscoli, conferenze, interventi, interviste), selezionarli e ordinarli in un’antologia lungo sette filoni tematici, che attraversano e ripercorrono ottant’anni di impegno civile e politico: la guerra, il fascismo, la Resistenza; Alto Adige /Südtirol: autonomia, convivenza, parità di diritti; la lingua e la letteratura; il distacco dalla Dc e la scelta marxista; il femminismo e le differenze di genere; pacifismo e azione non violenta; teorie e prospettive del cambiamento.

Particolarmente interessanti sono gli snodi storici che segnano i passaggi politici ed esistenziali di Lidia. Il fascismo – era nata un anno e mezzo dopo la marcia su Roma – e la scelta di opporvisi fattivamente: «Dal 1941 sono decisamente antifascista», scrive Menapace, che diventa staffetta partigiana mentre conduce una apparente vita da studentessa fra Novara (dove era nata e viveva) e Milano. L’attività con la Dc – scelta quasi naturale per una cattolica cresciuta nell’associazionismo ecclesiale -, con cui viene eletta consigliera a Bolzano (dove si era trasferita con il marito), fino alla scelta di abbandonare un partito giudicato irriformabile e schierato dalla parte del potere: «Le due difficoltà maggiori sono la collocazione internazionale e il giudizio sul neocapitalismo e sulle evidenti tendenze imperialistiche che esistono nel mondo contemporaneo», scrive Menapace al segretario della Dc Rumor per comunicargli che lascia il partito.

La scelta marxista, che non arriva come un fulmine a ciel sereno ma si sviluppa e cresce anche nel terreno arato e fertilizzato dalla teologia della liberazione e dalla contestazione cattolica. Il suo – spiegano i curatori – non è un marxismo «aristotelico» e scolastico, ma induttivo e sperimentale, utile a comprendere la società capitalistica e a costruire una piattaforma politica per la «nuova sinistra»: del Pci Menapace critica la chiusura meramente istituzionale e la deriva socialdemocratica.

INEVITABILE PER LIDIA la scelta per la nuova sinistra e la militanza – ma anche il lavoro – nel manifesto. La continuità con una visione radicale e antagonista al sistema significherà poi l’impegno nei movimenti: femminista, ecologista e pacifista. Lidia Menapace muore il 7 dicembre 2020, nella fase del Covid. «Mi piacerebbe tanto che fosse qui a ragionare con noi su come affrontare il male sociale e politico – scrive Dacia Maraini nella presentazione -. Sono sicura che avrebbe delle risposte savie e ragionevoli, che troverebbe le parole per dire cosa è meglio fare in una situazione come quella che stiamo vivendo con dolore e impazienza».