«L’ideologia nuclearista non ha nulla a che vedere con l’uscita dai fossili»
Intervista Per il presidente della Fondazione Sviluppo Sostenibile Edo Ronchi non c’è tempo per costruire piccole centrali
Intervista Per il presidente della Fondazione Sviluppo Sostenibile Edo Ronchi non c’è tempo per costruire piccole centrali
Si accusa l’ambientalismo di essere ideologico, ma in realtà chi sta facendo una campagna ideologica sono i filonucleari. Sarebbe interessante capire come intendano superare ben due referendum». Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile ed ex ministro dell’Ambiente, ce l’ha chiaro: la decarbonizzazione non potrà passare dal ritorno al nucleare. «In 13 anni – dice – non abbiamo localizzato un deposito e ora ci vogliono far credere che entro il 2050 faranno 20 centrali?»
Presidente Ronchi, qualche giorno fa il Mase ha pubblicato l’elenco delle aree idonee per il deposito nazionale delle scorie nucleari. Sono 40 anni che se ne parla e non mancano le criticità. Cosa ne pensa?
Il deposito è un decreto legislativo del 2010. Prevedendo la chiusura delle centrali nucleari, da qualche parte poi i rifiuti vanno collocati. Non tanto i rifiuti medicali che sono di prima categoria, a bassa attività. La preoccupazione è per quelli di seconda e terza categoria, la cui radioattività dura da qualche centinaio a migliaia di anni, che mettono in circolo anche isotopi che non esistono in natura, per esempio il plutonio. Il tema centrale del deposito fa riemergere l’insostenibilità del nucleare basato sulla fissione dell’uranio. Con questa tecnologia si creano rifiuti che non possono essere riciclati e che sono un problema permanente che lasciamo in eredità alle future generazioni per migliaia di anni. Ovviamente piuttosto che lasciarli così senza bonificare i siti delle quattro centrali nucleari chiuse, da qualche parte dobbiamo metterli. È un problema non di semplice soluzione.
Tornare al nucleare è utopico quindi?
Sulle centrali nucleari hanno fatto molto greenwahisng con questi small modular reactors. Li chiamano small ma sono di 300 megawatt, non proprio piccoli.Per ora sappiamo che sono ancora a fissione dell’uranio fissile, con tutti i problemi che ha generato finora con i rifiuti e con il rischio di incidenti. Ne sono bastati due per fare delle distruzioni enormi. Mi riferisco a Chernobyl e Fukushima. E teniamo conto che l’Italia è un Paese sismico, con ampie aree a rischio alluvioni e frane e a rischio terrorismo. Sarebbe bene che chi parla di ritorno al nucleare non rimuovesse gli effetti prodotti da ben due referendum: il primo dell’87 e il secondo abrogativo del 2011. In democrazia si dovrebbe rispettare l’esito di un voto e non si potrebbero rispristinare norme abrogate da un referendum.
Dicono che aiuterebbe a decarbonizzare.
Come faranno a fare nuove centrali rispettando i tempi dell’accordo di Parigi? Noi dobbiamo produrre lo sforzo maggiore entro il 2030. Per fornire il 15% del fabbisogno di elettricità, stimata a 340/360 terawattora al 2030, avremmo bisogno di 20 reattori small da 300 megawatt. Qualcuno mi può dire dove si mettono? Qui si dimentica che in 30 anni in Italia di reattori ne abbiamo fatti solo 4 e mezzo. Quello di Montalto non è finito. Non c’è alcuna possibilità di collegare la decarbonizzazione al ritorno del nucleare. I tempi non coincidono. Poi ci sono i costi. Senza le rinnovabili avremmo avuto delle bollette molto più care. Il costo livellato medio nel 2022 del megawattora, generato da centrali nucleari in Europa, è stato di 160 dollari. Il solare 65, l’eolico onshore 60. Come spesso accade si fa della grande ideologia filonucleare.
Veniamo al nuovo regolamento imballaggi, approvato con proposte di modifica dal Consiglio europeo, a cui l’Italia si è opposta.
Il governo italiano, tentando una forzatura, alleandosi con il governo di destra finlandese, ha puntato a modifiche di tale portata da configurare una posizione di bocciatura della proposta della Commissione. Questa non mi pare una modalità efficace di lavorare a livello europeo. Gli emendamenti proposti dal Parlamento europeo sono migliorativi: rafforzano il riciclo e consentono di mantenere il sistema basato sul contributo ambientale pagato dai produttori e non sul deposito cauzionale. Alcuni riutilizzi sono stati ridimensionati, in particolare per taluni contenitori a contatto con alimenti. Serve un coordinamento perché alcuni emendamenti approvati dal Parlamento non sono tra loro coerenti. Il testo finale potrebbe arrivare all’inizio del prossimo anno: sarà impegnativo da applicare, ma aiuterà a migliorare la circolarità degli imballaggi anche in Italia.
La Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile ha presentato di recente il rapporto sul riciclo: l’Italia è fra i migliori Paesi europei con un tasso del 72%. Ci sonoancora difficoltà da superare?
Il trend rimane positivo. È del 72% e la media europea del 53%. Il distacco è notevole. Siamo anche più avanti della Germania al 55%. I trend migliori sono nel settore degli imballaggi, nella frazione organica dei rifiuti urbani e nel riciclo dei rottami ferrosi. Una difficoltà è il mercato delle materie prime seconde, per le plastiche, il legno, i rifiuti organici (per il compost prodotto col riciclo), gli aggregati prodotti col riciclo degli inerti e le fibre tessili. La domanda di queste materie prime seconde non sempre è adeguata. Nel caso delle materie plastiche, un po’ perché i Paesi produttori di petrolio si sono messi a fare polimeri plastici, a prezzi in genere bassi. Per alcune di queste materie prime seconde mancano anche standard omogenei nel mercato europeo.
Si è conclusa la Cop28. L’ennesima occasione mancata o un accordo bilanciato?
Mi aspettavo il peggio, che la fuoriuscita dai fossili fosse accantonata. Hanno giocato un ruolo importante la delegazione europea e la ministra spagnola. Per quanto riguarda il risultato bisogna capire che cosa ci si attende da queste conferenze. Non sono mai risolutive. Che il testo, che contiene la fuoriuscita dai fossili, l’accelerazione di questa transizione in questa decade nella traiettoria per emissioni nette zero entro il 2050, sia stato sostenuto anche dagli Usa e dalla Cina mi pare significativo. Bisogna poi vedere fattivamente se le misure nazionali saranno coerenti o meno. Tenendo conto del contesto geopolitico internazionale particolarmente critico e che questa Cop è stata fatta in un paese petrolifero con un presidente petroliere, ci sono stati aspetti positivi nella sua conclusione che può essere utilizzata a sostegno dell’accelerazione della fuoriuscita dai fossili, necessaria e urgente.
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