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L’identità ha bisogno del nemico, a uso e consumo elettorale

L’identità ha bisogno del nemico, a uso e consumo elettorale

Corsera La critica di Galli della Loggia a Montanari è di misconoscere l’identità e la storia dell’Italia solo per fini politici. Al centro la questione dei migranti

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 18 settembre 2018

Sul Corriere della sera del 16/ 9, Ernesto Galli della Loggia scrive una indignata polemica nei confronti di Tomaso Montanari, per un articolo (Il Fatto del 10/9) in cui l’autore avrebbe messo in discussione l’esistenza dell’ identità nazionale dell’Italia per giustificare la politica, a suo dire sbagliata, promossa dalla sinistra «dell’accogliamoli tutti». Mi preme intervenire sul tema non certo per sollevare scudi in difesa di Montanari – che controbatterà da par suo.

Vale la pena intervenire perché il tema della discussione è sicuramente di rilevante valore culturale e politico. Non prima di aver ricordato, tuttavia, che Galli della Loggia è il giornalista meno titolato in Italia a muovere la seguente accusa: «Ciò che a Montanari veramente interessa in questa discussione è adoperare la storia, il passato dell’Italia, per un fine esclusivamente e schiettamente politico».

Chi ha memoria del dibattito politico-culturale del nostro Paese ricorderà che un giorno del 1996 Galli della Loggia diede la ferale novella annunciando La morte della patria,(Laterza) , avvenuta l’8 settembre del 1943, con il crollo dello stato sabuado e lo sbandamento dell’esercito nazionale. Con una frase ad effetto trascinava nella rovina e nel disonore un intero Paese, “identificandolo”, è il caso di dire, con la monarchia che lo aveva sprofondato nei massacri della prima e della seconda guerra mondiale.

Con la morte dell’ ”identità patriottica” toglieva, d’un colpo, fondamento e legittimità alla Resistenza, alla Repubblica e alla Costituzione. Nel 1999 , in una pubblicazione a più mani( Miti e storia dell’Italia unita, il Mulino) denunciando «l’obsolescenza ideologico-culturale» della nostra Costituzione, muoveva un attacco alla sua prima parte, ai suoi «contenuti solidaristico-statalistici», superati ormai dall’avvento di una nuova forza politica «liberal-liberista», cioè da Forza Italia, e «dall’orientamento politico ed ideologico da tempo presente in molti paesi occidentali, a cominciare dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna».

Anche in questo caso un modo disinteressato di fare storia, solo in parte piegato al fine di suonare le campane a stormo al cavalier Berlusconi e al trionfo del neoliberismo, in Europa e nel mondo. Un breve richiamo solo per fare un po’ di anamnesi colturale di Galli della Loggia e dei precedenti più rilevanti del suo modo di fare storia giornalistica e giornalismo storico. Perché questi, evidentemente, danno una netta superiorità morale all’accusa mossa a Montanari, alquanto infamante, di «sostenere la necessità della porta aperta nei confronti degli immigrati».

Galli Della Loggia sa che l’identità è un costrutto ideologico-culturale, finalizzato a scopi di aggregazione umana e di coesione sociale. E ha svolto tale compito fin dai primordi delle società umane. La religione ebraica è forse il caso più esemplare del mondo antico, un complesso di norme e di credenze che doveva aggregare famiglie e clan di nomadi, a rischio di conflitti interni e di disgregazione. Ma l’identità si costruisce sempre in contrapposizione a quella di un altro, altrimenti essa non nasce. Se siamo tutti uguali, non è necessario un nemico che ci spinge a unirci per combatterlo. Certo, l’identità ha svolto anche funzioni progressive e di emancipazione in certi contesti storici. Il nostro Risorgimento, come quello della Grecia, la lotta per l’indipendenza di tanti paesi dall’impero asburgico e da quello ottomano, tra Otto e Novecento, ha fatto leva sulla coesione collettiva e la volontà d’azione creata dall’identità nazionale. Ma ad essa non si può assegnare un valore universalmente positivo. Quale utilità civile hanno avuto le identità di serbi, croati, sloveni, nella guerra di fine millennio, se non quella di rendere più feroce e sanguinario il conflitto?

Ma guardiamo al presente. Non è l’identità – certo insieme ad altre ragioni, ma tenute sempre insieme da una diversità che separa e contrappone – a dividere con muri Israele dai Palestinesi, i cattolici dai protestanti a Belfast, gli Usa dal Messico? Non è l’identità a dare fondamenti ideologici alla politica di respingimento dei vari Orban, Trump, Le Pen, materia di consenso al Partito della Libertà in Austria o ad Alternative fὒr Deutschland in Germania? Perché “Prima gli italiani”, se non per la creazione di un nemico-concorrente con cui conquistare elettori? L’Italia, come ricorda giustamente Montanari, è uno dei Paesi etnicamente e storicamente più composito al mondo. Perché non deve rammentarsi della comune umanità che unisce persone e popoli?Non è rinnegando l’identità nazionale che la sinistra «si suicida», come sostiene Galli, né eleggendo le guardie libiche a sentinelle del Mediterraneo, ma dimenticando l’universalità della condizione umana, dal cui riconoscimento è storicamente nata.

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