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L’idea fissa sui processi. Ma Berlusconi balla da solo

L’idea fissa sui processi. Ma Berlusconi balla da soloSilvio Berlusconi nel video di ieri

Elezioni «Quando governeremo noi le sentenze di assoluzione di primo e di secondo grado non saranno assolutamente appellabili». Il Cavaliere recupera proposte già bocciate dalla Corte costituzionale e che la sua coalizione non condivide. E' l'occasione per andare a confrontare i programmi dei partiti sulla giustizia

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 18 agosto 2022

C’è un programma del centrodestra depositato al Viminale assieme ai simboli dei partiti e poi ci sono le «pillole» del programma che Silvio Berlusconi dispensa regolarmente in video, dalla sua eterna scrivania bianca. Nel programma della coalizione che Fratelli d’Italia e Forza Italia diligentemente diffondono la giustizia ha un posto di rilievo, punto numero tre. Ma proprio quello che Berlusconi ha annunciato ieri non c’è. «Quando governeremo noi – ha detto sorridendo e con la mano sul cuore il Cavaliere – le sentenze di assoluzione di primo e di secondo grado non saranno assolutamente appellabili. Un cittadino, una volta riconosciuto innocente, ha diritto di non essere perseguitato per sempre».

Non si può dire che sia una novità, ma in questo caso la proposta è persino più sgangherata del solito. Per la prima volta si prospetta la possibilità di escludere il ricorso in Cassazione che per la Costituzione, articolo 111, è sempre proponibile contro le sentenze penali. E Berlusconi fa finta di non ricordare che una riforma del genere l’ha già fatta, nel pieno della sua stagione di governo, era il 2006. La legge Pecorella che cancellava la possibilità sia per i pubblici ministeri che per gli imputati di appellare in secondo grado le sentenze di assoluzione fu attaccata dal centrosinistra e dalla magistratura perché considerata una delle non poche leggi ad personam che il Cavaliere impelagato in mille processi fece allora approvare. Molto velocemente, nel 2007 e nel 2008, con due sentenze (non tra le più limpide) la Corte costituzionale ripristinò la possibilità di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento prima per il pm e poi per l’imputato. Come ieri ha ricordato a Berlusconi il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia. Al contrario il presidente dell’Unione camere Gian Domenico Caiazza ha raccontato che «nei giorni scorsi abbiamo inviato una lettera a tutti gli esponenti politici in competizione, tranne che a Conte che per noi rappresenta il giustizialismo populista, indicando cinque priorità tra cui proprio il ritorno alla inappellabilità delle sentenze di assoluzione da parte del pubblico ministero. Immagino che quella arrivata da Berlusconi sia una risposta alla nostra sollecitazione e la valutiamo molto positivamente».

Santalucia, al quale la proposta invece non piace, ricorda però correttamente che di abolire l’appellabilità «se ne è riparlato nei lavori della commissione Lattanzi che ha preceduto la riforma della ministra Cartabia. È un tema che tecnicamente può essere discusso e ne discuteremo se la politica lo metterà tra i progetti». La commissione Lattanzi, guidata dal professor Giorgio, ex presidente della Corte costituzionale e maestro di diritto penale, aveva in effetti proposto alla ministra di prevedere l’inappellabilità tout court da parte del pubblico ministero, sia delle sentenze di condanna che di quelle di assoluzione. Sulla base del presupposto che il potere di presentare appello da parte della pubblica accusa è meno tutelato dai principi della Carta rispetto a quello del cittadino imputato. Per la commissione, che pure si era divisa sul tema, il giudizio di appello andava completamente ripensato e trasformato in «strumento di controllo nel merito della sentenza di primo grado a favore dell’imputato» esclusivamente. Una proposta assai radicale che però Cartabia aveva lasciato cadere quando era passata a scrivere in concreto la sua riforma della procedura penale. Riforma che proprio a settembre dovrà trovare compimento con l’approvazione definitiva dei decreti legislativi.

La giustizia tornerà certamente sotto i riflettori della politica. Se infatti il programma del centrodestra si limita a sventolare due vecchie bandiere come la separazione delle carriere e la riforma del Csm – sulle quali peraltro la riforma Cartabia sta già intervenendo – Salvini ha presentato un programma autonomo della Lega che alla giustizia dedica otto pagine. Nelle quali si tenta l’impossibile operazione di tenere insieme la nouvelle vague garantista (quella dei referendum falliti per la quale si insiste sul giusto processo) con gli animal spirits giustizialisti per i quali si ricade nelle strette securitarie contro «baby gang» e «occupazioni abusive» e si propone di rafforzare la legge Severino che solo pochi mesi fa si chiedeva agli elettori di abrogare del tutto.

Al confronto il programma del Pd, che alla giustizia dedica un paio di pagine, offre un panorama tranquillizzante. Al di là dell’enfasi sulla lotta alla mafia l’unica riforma importante che si propone rispetto a quelle – sostenute con convinzione – della ministra Cartabia è l’introduzione di un’Alta corte per la disciplinare dei magistrati. Tutto dedicato (solo) alla lotta alla mafie e alle eco mafie il programma di Sinistra italiana e Europa Verde, che contiene però un rimando integrale alle proposte di Antigone sulle carceri. Di impronta securitaria anche il programma sulla giustizia della Unione popolare di De Magistris, contro mafie e corruzione, almeno nella prima parte. Ci sono però a capovolgere il quadro parole chiare per l’abolizione dei decreti sicurezza sia del centrosinistra che del governo Lega-M5S, la tensione verso un più ampio ricorso alle misure alternative al carcere e persino la dichiarazione che «il conflitto sociale non è un reato», il che significa «stop a sgomberi e criminalizzazione» delle lotte sindacali e per l’ambiente.

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