Cultura

L’idea di «provincia» e quella apparente felicità priva di scossoni

L’idea di «provincia» e quella apparente felicità priva di scossoni

NARRATIVA «Il bene che ti voglio», un romanzo di Sandro Frizziero per Mondadori

Pubblicato più di un anno faEdizione del 28 giugno 2023

L’idea di provincia in Italia negli ultimi trent’anni sembra aver vissuto un congelamento che quasi mai riesce a corrispondere con una realtà che è profondamente mutata. La provincia italiana che fu quella a vario titolo di Carlo Cassola e Piero Chiara è oggi raccontata partendo da una visione nostalgica o melanconica che accomuna scrittori come Andrea Vitali che per certi versi di Chiara è l’erede, e giallisti che utilizzano la provincia come scenario. Altro discorso comprende invece coloro che hanno raccolto l’eredità di Narratori delle riserve, ormai mitologica antologia curata da Gianni Celati nei primi anni Novanta.

IN QUESTO CASO, seppur anche con notevoli differenze, quello che per altri scrittori è un semplice scenario, qui diviene l’asse portante di dinamiche emotive, storiche e caratteriali che definiscono spesso con affilata precisione quel miscuglio di radicalismi che danno forma e senso alla provincia italiana contemporanea. In quel solco lavora e agisce la narrativa di Sandro Frizziero che aveva già impressionato con il suo precedente romanzo Sommersione (finalista al Campiello nel 2020), un racconto a tratti ossessivo di una giornata nella laguna veneziana con protagonista un burbero pescatore. Oggi lo scrittore ribadisce una qualità rara di visione del contemporaneo con Il bene che ti voglio (Mondadori, pp. 228, euro 18,50), romanzo dolente e agrodolce che ha al centro un uomo e tre donne, classico schema fatto di moglie, madre e amante che esploderà in dinamiche emotive imprevedibili e realistiche.

A COLPIRE È LA SCRITTURA, l’abilità di Frizziero con cui dà forma a continui e sottili slittamenti di senso, accompagnando il lettore all’interno delle deformazioni sentimentali che il protagonista in parte subisce, ma allo stesso tempo elabora in un continuo e spesso sconvolgente stato d’instabilità. Una tranquilla e apparente felicità priva di scossoni e inquietudini che nasconde in realtà un sommovimento tellurico capace da un momento all’altro di scatenare ogni tracollo. I protagonisti abitano così un tempo apparente, superficiale eppure sostanziale in cui si gioca l’esistenza. Tutto ciò che sta sotto può infatti sì scatenarsi da un momento all’altro, ma con la sola possibilità di produrre macerie e uno stato di dolore.

Il bene che ti voglio lavora mimeticamente diventando esso stesso un oggetto dall’equilibrio instabile, capace di sussurrare e suggerire, sempre con la fluidità di una narrazione classica e posata. Frutto di una continua moltiplicazione della voce narrante, il romanzo di Frizziero è un’opera capace infine di raccontare la provincia partendo dalle sue viscere; osservandone analiticamente i movimenti pacifici dei protagonisti, veri e propri automi di una landa che nasconde dolore e assurdità, sotto il peso di un obbligo sociale non scritto che confonde convivenza con convenienza.
Frizziero decripta uno stato di furore dormiente dentro al quale morte e violenza vengono istituzionalizzate in un sentimento organizzato, tragico quanto basta, in nome di un bene tanto individuale quanto ormai privo di ogni possibile forma di eros.

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