Enzo Moscato è ormai un padre riconosciuto di tutta la ricerca teatrale napoletana. Autore, attore e affabulatore incontrollabile e incontrollato (per quanto rigorosissimo nel proprio lavoro), detiene ormai da diversi anni quella che si può definire una ricca «bussola» di tutte le novità, profondità e variazioni di cui il teatro si può dotare. Come in questa nuova occasione (che pure evoca sue antiche performance) che ha già intrapreso la sua strada felice quanto sfacciata (ancora oggi e domani al Metastasio di Prato, coproduttore dello spettacolo assieme al Teatro di Napoli e alla Casa del contemporaneo, dopo il debutto al San Ferdinando, la casa teatrale di Eduardo).
Può sorprendere sulle prime il titolo della pièce, Libidine violenta, che nel racconto acquista immediatamente senso e identità nel piacere smodato di fare teatro, moltiplicandone le ragioni e gli effetti, verso un diapason di invenzioni, scoperte e agnizioni che ne scoprono il piacere anche ai più resistenti. Il testo si apparenta probabilmente ad un altro famoso lavoro di Moscato, Recidiva, ma qui la moltiplicazione delle voci nei diversi personaggi, ne fa una creatura teatrale nuova, che ad ogni parola e ad ogni voce, vuole moltiplicare i suoi misteri, e la sua «sfiducia» nel mondo attorno, di cui appare palpabile l’illusoria «verità».

LA SITUAZIONE iniziale è quella di un annuncio, che vorrebbe essere il più altisonante possibile, del «suicidio» di una star, più o meno fasulla, che possa avere la massima amplificazione su ogni genere di mass media. È lo stesso Moscato, da un angolo sopraelevato rispetto al piano della scena, a dare il quadro e il momento della situazione, animata invece in primo piano dal gruppo dei suoi attori, vistosi e provocatori nelle fogge, ma che a guardarli bene danno un’attendibile fotografia del gusto di massa vigente. E dei suoi orrori, e banalità. Risalta crudele la massmediologia spicciola che emerge dietro una apparente «liberazione» di costumi e abitudini. Anche nei discorsi più «avanzati», di comportamenti come di cultura.

RISPETTO a quel blabla divenuto suono quotidiano (quanto a suo modo motivato), Moscato se ne sta non staccato, ma certo su un piano diverso, che stia in alto in secondo piano, o in proscenio dentro una vasca da bagno. La diversità di quella sua mente lucida, suona feroce rispetto allo sciocchezzaio massmediologico degli scatenati attori e dei loro personaggi lussureggianti negli abbigliamenti alla moda. Nel suo distacco prende corpo l’amarezza consapevole della illusoria fatuità di tante apparenti «liberazioni». Non perché non siano vere o necessarie, ma perché rischiano ad ogni passo di annegare nelle acque stantie della moda e dei modi. A confronto soprattutto con il peso e l’autorevolezza con cui l’esile Moscato poggia il suo sguardo sulle illusioni e sulla drammaticità del mondo attorno, anche di quello che appare più avanzato.