Libia, rapiti 16 operai. E Bengasi è una città fantasma
Libia Ad aggravare il muro contro muro tra militari e islamisti, ieri il generale Khalifa Haftar, epigono del presidente egiziano al-Sisi, ha prestato giuramento sulla nave-parlamento di Tobruk in Cirenaica
Libia Ad aggravare il muro contro muro tra militari e islamisti, ieri il generale Khalifa Haftar, epigono del presidente egiziano al-Sisi, ha prestato giuramento sulla nave-parlamento di Tobruk in Cirenaica
Non si placa il dramma dei sequestri in Libia. 16 operai, 9 europei, cittadini austriaci e cechi, insieme a 7 africani e filippini sono stati rapiti dopo un attacco al campo petrolifero di al-Ghani, 700 chilometri a Sud-est di Tripoli. Secondo l’esercito pro-Haftar, 8 guardie sarebbero state decapitate nell’attacco. Il militare ha riferito anche di un lavoratore morto di infarto per aver assistito alle brutali decapitazioni. La fonte, ripresa dai media locali, ha assicurato che i lavoratori sequestrati non sono rimasti feriti nell’assalto. Gli operai stranieri sono sempre stati nel mirino dei contrabbandieri libici negli ultimi anni.
Non solo, i diplomatici occidentali sono state le prime vittime dei jihadisti, incluso l’ambasciatore degli Usa, Christopher Stevens, ucciso nel settembre 2012 in un grave attentato a Bengasi. Dopo incendi e attacchi che hanno colpito anche le rappresentanze diplomatiche francesi nel paese, tutte le principali ambasciate occidentali risultano chiuse. L’assalto di al-Ghani conferma che vacilla anche l’accordo temporaneo tra i miliziani della Petroleum Protection Guard, di Ibrahim Jadran e i pro-Haftar.
L’intesa in funzione anti-islamista aveva fin qui avuto pochi risultati nel limitare gli attacchi ai terminal petroliferi dei sedicenti Isis. Ma dallo scorso febbraio, prima l’assalto ai giacimenti di al-Mabruk, a sud di Sirte, e poi di al-Dahra della scorsa settimana hanno azzerato la produzione petrolifera nel paese e messo in fuga le compagnie occidentali.
La Banca centrale libica continua a non incanalare i proventi dalla vendita del petrolio verso nessuna delle due fazioni in campo a Tripoli e Tobruk per rischi di fughe di capitali. E Bengasi, teatro dei più gravi scontri tra i jihadisti di Ansar al-Sharia e i militari pro-Haftar, è ormai una città fantasma.
I primi a pagarne le spese sono i rifugiati. Le partenze delle imbarcazioni di fortuna sono state bloccate e gli immigrati sono diventati i principali obiettivi dei miliziani. Due volte sfruttati, molti di loro vengono pagati per il carico e scarico di munizioni nel mercato e nelle aree industriali urbane.
Ad aggravare il muro contro muro tra militari e islamisti, ieri il generale Khalifa Haftar, epigono del presidente egiziano al-Sisi, ha prestato giuramento sulla nave-parlamento di Tobruk in Cirenaica e si è insediato ufficialmente come auto-proclamato comandante unico delle forze armate regolari libiche, braccio armato dell’ex ministro della Difesa e ora premier, Abdullah al-Thinni.
L’esercito libico si è spaccato dopo il golpe (operazione Dignità-Karama), avviata da Haftar nel giugno scorso per sottrarre Tripoli agli islamisti moderati: una parte dell’esercito, secondo molti analisti davvero debole, ha appoggiato il tentativo di Haftar di presentarsi come nuovo Gheddafi, proprio lui che, riparatosi negli Stati uniti e impegnato con la Cia, era tra i suoi più acerrimi nemici negli ultimi anni di governo del Colonnello.
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