Libia, quelle parole non dovevano essere dette
Dopo la visita di Draghi L’Italia dovrebbe vergognarsi di lodare i responsabili d’indicibili violenze contrarie a ogni diritto umano. Ancora una volta non in nostro nome
Dopo la visita di Draghi L’Italia dovrebbe vergognarsi di lodare i responsabili d’indicibili violenze contrarie a ogni diritto umano. Ancora una volta non in nostro nome
Davvero il capo del governo italiano non vede e non sa, oppure peggio, vede e sa ma finge di non vedere e di non sapere?
«Noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa, per i salvataggi, e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia»: queste le incredibili parole pronunciate da Draghi nella sua visita in Libia.
Inchieste, testimonianze, report, tutte le fonti possibili inclusa l’Onu hanno mostrato al mondo l’orrore dei cosiddetti “salvataggi” che la guardia costiera libica compie senza alcun rispetto per la vita di profughe e profughi, e persino di bambini. Ne muoiono a migliaia in questi salvataggi, e se sopravvivono vengono riportati negli orrendi “campi di raccolta” che sono luoghi di sevizie, torture e stupri.
Oltrepassato ogni limite. Può dunque l’ipocrita realpolitik patriarcale giungere a questi estremi senza nessuna protesta, senza nessuna opposizione?
Sappiamo quanto oscuri siano i rapporti fra i paesi europei e le ex colonie africane, oggi vittime e in parte complici di nuove forme di sfruttamento. Sappiamo quanto torbido sia stato il legame fra Italia e Libia, come tutto ciò che nel mondo gira attorno al nodo delle risorse energetiche per alimentare lo sciagurato modello di sviluppo occidentale. Sappiamo quanto l’Italia sia stata connivente con l’assassinio di Gheddafi, selvaggio regolamento di conti all’americana contro un dittatore corrotto che però, guarda caso, aveva il torto di sognare l’indipendenza africana cui tutto il mondo è ostile.
Oggi, tra le bande criminali che si combattono senza tregua per avere la meglio nel traffico di esseri umani, la Libia è diventata l’anima nera dell’Europa e dell’Italia che le hanno delegato il lavoro sporco sui migranti. Anche l’Onu ha condannato l’orrore dei campi di raccolta uguali a lager dove persone inermi subiscono ogni sorta di violenze da guardiani travestiti da agenti di sicurezza. Miliardi e miliardi elargiti dall’Europa pur di tener fuori il popolo migrante dal nostro sguardo e consentire a questi aguzzini per procura di guadagnarci sopra.
Questa verità universalmente riconosciuta è ignota al capo del governo italiano?
Una volta di più come femministe misuriamo l’abissale distanza che ci separa dalla politica maschile. Lo abbiamo già detto e scritto tante volte, nei documenti e negli appelli:
«Quelle donne e quegli uomini in fuga sono entrati nella realtà del nostro stare al mondo, dietro i numeri snocciolati dalle cronache come un’arida contabilità noi abbiamo visto e percepito la materialità dei corpi in pericolo, quei corpi che potrebbero essere i nostri, quelle figlie e quei figli che potrebbero essere nostri, quei vecchi che potrebbero essere i nostri genitori, potremmo sentire lo stesso freddo, la stessa paura, la stessa fame. Ci siamo chieste che cosa significa allora per noi essere cittadine europee, che cosa rappresentano, per noi, confini e frontiere rispetto al diritto alla vita. Primum vivere, è la sfida lanciata da moltissime donne dei movimenti fin dall’incontro di Paestum. Abbiamo rifiutato l’idea di poter vivere in un’Europa capace di respingere, di chiudere le porte, di decretare chi abbia diritto di vivere e chi no».
Primum vivere è il principio di base che esprime la nostra posizione anche rispetto alla pandemia, perché riteniamo che la vita e la salute vengano prima del profitto, prima del prodotto interno lordo, prima del petrolio.
Probabilmente l’angoscia che stiamo vivendo a causa del coronavirus accrescerà l’indifferenza per le vittime dei continui naufragi nel Mediterraneo, ormai coperti dal silenzio generale, o per coloro che rischiano la vita sulla rotta balcanica. Ma il diritto alla vita di chi cerca asilo non può essere cancellato o messo in secondo piano dalla tragedia del virus.
Quelle parole in Libia non andavano dette. E noi dobbiamo denunciare ad alta voce questa gravissima ferita ai principi e ai valori di umanità e solidarietà che dovrebbero connotare la civiltà europea. Le parole pronunciate dal capo del governo non ci possono rappresentare, e l’Italia dovrebbe vergognarsi di lodare i responsabili d’indicibili violenze contrarie a ogni diritto umano. Ancora una volta non in nostro nome.
Rete femminista No muri No recinti – Casa delle donne di Milano
Prime adesioni:
Casa internazionale delle donne di Roma, Libera Università delle donne, Casa delle donne di Ravenna, Giardino dei Ciliegi di Firenze, Associazione Orlando di Bologna, UDI nazionale, UDI Ravenna, IFE Italia, Nazione umana Varese, Donne in nero Varese, Donne in Nero Roma, Gruppo femminista Società della Cura
Floriana Lipparini, Anita Sonego, Cecè Damiani, Antonia Sani, Francesca Koch, Nicoletta Pirotta, Ionne Guerrini, Adriana Nannicini, Alessandra Mecozzi, Margherita Granero, Maria Paola Patuelli, Paola Melchiori, Silvana Magni, Lia Randi, Gabriella Rossetti, Maria Luisa Boccia, Anna Nadotti, Fulvia Bandoli, Laura Morini, Maria Nadotti, Paola Redaelli, Maria Brighi, Parisina Dettoni, Adriana Redaelli, Bruna Orlandi, Silvia Cortesi, Barbara Pettine, Enrica Anselmi, Carla Bottazzi, Laura Quagliuolo, Francesca Rossi, Filomena Rosiello, Nadia De Mond, Marina Cavallini, Gianna Morgantini, Carla Visciola, Francesca Moccagatta, Clotilde Barbarulli, Gabriella Gagliardo, Stefania Soccorsi, Luisa Randi, Giuliana Peyronel, Vittoria Longoni, Maria Pierri, Vittoria Cova, Gianna Tangolo, Rina Cuccu, Elena Rosa, Loredana Magurano, Anna Moretti, “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” di Viterbo
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