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Libia, oltre alle bombe è cominciato il saccheggio

Libia, oltre alle bombe è cominciato il saccheggio

Libia Lontano dai riflettori del duello Haftar-Sarraj, l’International Crisis Group (Icg), think tank basato a Bruxelles, spiega che in Libia è iniziata una guerra economica

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 24 maggio 2019

Spartizione e saccheggio delle ricchezze della Libia sono a un punto di svolta. Mentre il generale Haftar, dopo la visita Parigi da Macron, e Sarraj da Tripoli non sono ancora disposti a una tregua, gli italiani in Libia hanno un insolito destino.

A un altissimo prezzo di sangue – 80 mila morti – unificarono al tempo del fascismo Tripolitania e Cirenaica e dal 2011 a oggi stanno assistendo alla sua disgregazione. Senza contare nulla, alla faccia degli odierni sovranisti. In Libia ora abbiamo due governi antitetici, due banche centrali, due industrie petrolifere: un dualismo tra Est e Ovest che i libici pagano con morti, profughi, un’economia erratica e un futuro assai incerto. Così come pagano i migranti africani abbandonati al loro destino in una «Tortuga del Mediterraneo» che arriva fino a Lampedusa. L’Europa, sul dramma, non batte un colpo. Saranno gli Stati uniti di Trump, le monarchie del Golfo e forse la Francia a decidere. Altro che politica estera europea comune.

Lontano dai riflettori del duello Haftar-Sarraj, l’International Crisis Group (Icg), think tank basato a Bruxelles, spiega che in Libia è iniziata una guerra economica. L’avanzata del 4 aprile del generale Khalifa Haftar, secondo Igc è diretta conseguenza della divisione in corso da quattro anni tra Banca centrale insediata a Tripoli e filiale orientale della Cirenaica. L’obiettivo di Haftar di assumere il controllo della Banca centrale di Tripoli potrebbe aver contribuito alla scelta dei tempi della sua offensiva. Ad aprile infatti la Banca centrale tripolina ha iniziato a imporre restrizioni ad alcune banche dell’Est che da sole coprono il 30% del mercato.

Se si dovesse arrivare a un «congelamento» delle loro attività sarebbe in pericolo la capacità di Haftar di pagare dipendenti dell’amministrazione e forze militari. Il governo della Cirenaica rischia la bancarotta: la Banca centrale dell’Est, con base ad Al Bayda, ha un debito con l’Ovest di 40 miliardi di dinari, circa 25 miliardi di dollari. Ed è proprio per questo che la Cirenaica è ricorsa alla Russia per far stampare 10 miliardi di dinari e Haftar ha chiesto il sostegno finanziario di Arabia Saudita ed Emirati, i due sponsor del Golfo che con l’Egitto vogliono far fuori i Fratelli Musulmani di Tripoli. Questa probabilmente è anche la ragione per cui il generale ha dovuto accelerare la sua offensiva: le casse rischiano di restare vuote.

Di fronte allo stallo militare e alla crisi finanziaria, il generale potrebbe avviare anche una guerra del petrolio. Ma una mano potrebbe arrivare proprio dagli Usa, con l’assenso di Francia, Russia e il contributo delle monarchie del Golfo. Il problema di Haftar è che per ora con il petrolio può fare poco. Controlla molti pozzi, tra questi il maggiore, quello di Sharara, gestito dalla Noc con la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv e la norvegese Equinor, e anche il giacimento di El-Feel dove opera l’Eni. Haftar ha inoltre militarizzato i porti e i terminali di esportazione dell’oro nero, come Ras Lanuf ed Es Sider.

Ma non può esportare il greggio: le risoluzioni Onu autorizzano solo la Noc, la compagnia di Stato, a venderlo mentre le entrate delle esportazioni vengono depositate alla Banca centrale di Tripoli. Insomma, è tagliato fuori dal bottino del Paese: oggi la produzione di greggio libico supera il milione di barili al giorno e nel 2018 le entrate petrolifere sono state intorno ai 24,4 miliardi di dollari, ma sono in aumento anche per l’impennata delle quotazioni sui mercati internazionali. Il capo della Noc, Mustafa Sanalla, in un articolo su Bloomberg, afferma di avere le prove che Haftar esporta già illegalmente il suo petrolio aggirando le risoluzioni Onu e la compagnia di Stato.In realtà il generale cerca di ottenere il via libera degli americani all’export petrolifero soprattutto dopo la famosa telefonata avuta con Trump che lo ha riconosciuto nel ruolo di Maresciallo «nella lotta al terrorismo».

Per facilitare i suoi rapporti con Washington Haftar ha assunto una società di lobbyng americana, anche per contrastare le mossa della Noc che ha aperto un ufficio a Houston, capitale petrolifera degli Usa. Ma neppure le società europee hanno smesso di puntare al petrolio libico: per il Financial Times, Total e Siemens chiedono nuove concessioni al governo della Cirenaica. Al di là delle solite ipocrite dichiarazioni ufficiali, la soluzione per ora appare quella della spartizione delle ricchezze della Libia: un bottino tra gas, petrolio e le quote di partecipazioni bancarie, societarie e conti del Fondo sovrano libico (Lia) stimato 130-150 miliardi di dollari. Il saccheggio può cominciare.

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