Libia, l’uccisione di Rouissi e l’alleanza jihadista libico-tunisina
Libia Il flusso di jihadisti tunisini verso la Libia continua. Sono almeno cinque mila le partenze accertate negli ultimi mesi a dimostrazione della forza dei gruppi salafiti e radicali nel paese. […]
Libia Il flusso di jihadisti tunisini verso la Libia continua. Sono almeno cinque mila le partenze accertate negli ultimi mesi a dimostrazione della forza dei gruppi salafiti e radicali nel paese. […]
Il flusso di jihadisti tunisini verso la Libia continua. Sono almeno cinque mila le partenze accertate negli ultimi mesi a dimostrazione della forza dei gruppi salafiti e radicali nel paese. Il fatto che i jihadisti tunisini e i combattenti libici siano legati a doppio filo lo dimostra la morte di un terrorista eccellente proprio alla vigilia degli assalti al Bardo e al Parlamento.
È il tunisino Ahmed Rouissi, esponente di Ansar al-Sharia, gruppo che ha controllato per mesi e continua a combattere per la conquista di Bengasi. Rouissi sarebbe uno dei mandanti degli omicidi politici di Chokri Belaid e Mohammed Brahmi, con l’appoggio della polizia locale, che hanno fatto tremare la transizione tunisina e la sua aspirazione a guidare uno dei pochi tentativi in parte riusciti tra i cinque paesi attraversati dalle rivolte del 2011 (Egitto, Siria, Libia e Yemen) di transizione democratica. Rouissi sarebbe stato ucciso lo scorso sabato a 70 km da Sirte negli scontri tra jihadisti e la Brigata 166, milizia di Misurata che appoggia l’operazione Alba (Fajr) e il parlamento di Tripoli. È una delle piste degli inquirenti che, poco prima dell’attacco di Tunisi, avevano annunciato arresti contro una cellula jihadista attiva nella periferia Nord di Tunisi, nota per aver partecipato a combattimenti armati in Siria.
È ancora presto per definire nei particolari i legami tra questi attentati e i sedicenti terroristi dell’Is presenti a Bengasi, Derna e Sirte. Di sicuro le gravi tensioni che attraversano il paese vicino e il flusso continuo di libici in Tunisia, bloccati a volte per settimane al confine, sono una delle spiegazioni più plausibili per modalità (assalti mirati) e obiettivi (stranieri e turisti) degli attacchi di ieri. E dimostrano ancora una volta come la guerra in Libia tra militari, islamisti e jihadisti non si placa e potrebbe estendersi.
È di almeno dieci morti il bilancio di un attacco presso Sirte contro una caserma dei miliziani Shorouk, parte del cartello Fajr, poche ore prima degli attacchi al Bardo. Secondo i militari filo-Haftar, l’attacco sarebbe stata opera dello Stato islamico che continua a mantenere le sue posizioni in alcuni quartieri periferici. Nel mirino ci sarebbe stato un checkpoint delle forze Fajr a Nofaliya, a 130 km a est di Sirte. Lo scorso febbraio, i jihadisti avevano annunciato la conquista della cittadina. Da parte loro, le milizie islamiste hanno condotto ieri un raid contro i miliziani di Zintan che appoggiano l’operazione Dignità (Karama) dell’auto-proclamatosi capo delle Forze armate, il golpista Khalifa Haftar.
Ma gli sforzi diplomatici non si fermano, in vista della ripresa dei colloqui con la mediazione Onu in Marocco: il premier italiano Renzi in un colloquio con Ban Ki-moon ha sottolineato come la crisi libica non può essere sovrapposta alla sola questione migratoria o ad un regolamento di conti tra tribù rivali. Per Renzi, che ha riferito sulla crisi libica al Senato, esiste un rischio di estensione del conflitto per legami dimostrati tra Stato islamico in Libia e jihadisti di Boko Haram. Eppure il pericolo dell’espansione di Isis deve essere ridimensionato anche secondo gli 007 italiani. Per il dirigente dell’Antiterrorismo, Mario Papa, solo poche centinaia di persone si sono unite allo Stato islamico in Libia negli ultimi mesi e per questo parlare di invasione jihadista del paese (e di un imminente arrivo sulle coste italiane come paventato dai militari filo-Haftar) è pura propaganda.
Le «rivelazioni» stanno rafforzando il parlamento di Tripoli e le sue possibilità negoziali per la formazione di un governo di unità nazionale a discapito delle velleità interventiste e di fine dell’embargo sulle armi per i militari di Haftar, appoggiate da Egitto, Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti.
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