«Interventi mirati per distruggere il racket criminale» dei contrabbandieri di uomini. Il premier italiano, Matteo Renzi è venuto allo scoperto sulla Libia: per lui i morti del Mediterraneo valgono forse una nuova guerra, anche se diversa dagli attacchi della Nato del 2011. Aveva già sussurrato le sue intenzioni interventiste al presidente degli Usa Obama nella sua visita della scorsa settimana a Washington.

In quel caso, Obama ha fatto orecchie da mercante, escludendo l’uso di droni in Libia. Il presidente degli Stati uniti ha invece puntato il dito contro il coinvolgimento dei paesi del Golfo nel conflitto che alimenta senza fine l’incendio che dilania il paese. Renzi ha confermato la sua idea di attaccare all’indomani della strage di migranti che partivano dalle coste libiche, forse dal porto di Sabrata, 70 chilometri a Ovest di Tripoli, e non da Zuwarah come era parso da prime ricostruzioni, stipati a centinaia dai contrabbandieri e miliziani libici che li hanno lanciati verso una morte sicura. «Un blocco navale sarebbe un regalo agli scafisti», ha continuato Renzi che ha poi invocato: «una risposta solida della comunità internazionale per prendere i criminali». In mezzo a queste parole di circostanza, una sola verità è emersa: il tentativo di mediazione delle Nazioni unite tra le fazioni libiche, guidata da Bernardino Léon, in corso in Marocco, è fallito e non ha nessuna chance di successo.

La Farnesina vorrebbe che il quarto round negoziale di colloqui tra militari di Tobruk e islamisti di Tripoli si tenesse a Roma, come confermato dal quotidiano al-Sharq al-Awsat. Ormai, quando il conflitto sul campo sembra precipitare ogni giorno di più lasciando mano libera ai peggiori criminali, anche le parole delle Nazioni unite suonano come vuoti proclami. ll Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon ha in particolare condannato la «barbara» uccisione la scorsa domenica di decine di cittadini etiopi da parte dello Stato islamico (Is) sulle coste libiche.

Come in uno scenario ripetitivo di sgozzamenti e stragi di migranti, anche questa volta (lo stesso era avvenuto alla vigilia degli attacchi egiziani dello scorso febbraio quando vennero sgozzati 21 cristiani copti) le vittime sacrificali sono stati 28 cristiani etiopi. In seguito alla strage, Addis Abeba ha proclamato tre giorni di lutto nazionale. Anche i 28 uomini erano migranti. Le immagini diffuse da Is su Twitter e altri social media mostrano gli uomini camminare lungo una spiaggia con le tuniche arancioni, ormai di rito. Ma le esecuzioni sarebbero avvenute in due luoghi diversi: una nel deserto del Fezzan. In questo primo video si vede un uomo, sembrerebbe non lo stesso aguzzino dei cristiani egiziani, che dà il via all’esecuzione mentre i terroristi che accompagnano le vittime imbracciano i fucili e sparano. Un secondo video sembra invece girato, lungo il mare, proprio nella stessa zona dove sono stati sgozzati gli egiziani lo scorso febbraio, e termina con l’approssimarsi della decapitazione delle vittime.

A reagire duramente dopo l’atroce fine dei migranti di Sebrata, sfruttati dal business di famelici contrabbandieri, sono state le autorità di Misurata. «È difficile controllare l’emigrazione clandestina nelle attuali circostanze», ha detto Ramadan Maiteeg della municipalità di Misurata, le cui milizie Scudo appoggiano gli islamisti di Tripoli. In particolare questi miliziani hanno puntato il dito contro gli interventi francesi in Mali, Niger e Ciad che avrebbero alimentato grandi migrazioni dall’Africa sub-sahariana verso l’Italia passando per la Libia. «Sembra che gli italiani non vogliano aiutare seriamente la lotta contro l’emigrazione», ha aggiunto la fonte. Secondo Maiteeg, il problema principale è che le autorità italiane e la comunità internazionale non contrattano direttamente con le autorità di Tripoli conferendo una credibilità eccessiva al precario parlamento di Tobruk e ai militari filo-Haftar che lo sostengono. Le morti in mare si susseguono per la gioia dei contrabbandieri e la Libia si prepara a nuovi giorni di guerra.