«Liberté Cathédrale». Corpi tra utopia e desiderio
A teatro Impegnati nello spettacolo più di 20 danzatori tra il Tanztheater Wuppertal Bausch e Terrain, di Boris Charmatz
A teatro Impegnati nello spettacolo più di 20 danzatori tra il Tanztheater Wuppertal Bausch e Terrain, di Boris Charmatz
Liberté Cathédrale. Due parole, un titolo, più di venti danzatori tra il Tanztheater Wuppertal Pina Bausch e Terrain, coreografia di Boris Charmatz. Un’associazione linguistica evocatrice tra libertà, con la sua capacità di infondere all’istante nel corpo una sensazione di utopia e desiderio, e cattedrale, l’immaginarsi camminare in uno spazio, lo sguardo teso verso l’alto in una relazione di scoperta, intimità, fremito tra terra e cielo. Più di uno spettacolo, un viaggio in cinque tappe che regala un senso di condivisione, di unità nella lotta del vivere, nella costante ricerca di trovare una via d’amore e d’equilibrio nel cammino, nonostante le paure, gli orrori, le fatiche. Il debutto è stato vicino a Wuppertal, nella Chiesa brutalista Mariendom a Neviges, la prima tappa fuori dalla Germania ha avuto luogo la settimana scorsa alla ventesima edizione della Biennale de la danse di Lione.
Un viaggio in cinque tappe che regala un senso di condivisione e di profonda unità nella lotta del vivere
Per Charmatz, che dall’agosto 2022 è il nuovo direttore del Wuppertal Tanztheater Pina Bausch, è l’espressione di un progetto tra la Germania e la Francia sviluppato congiuntamente con i danzatori della compagnia attuale di Wuppertal e Terrain, la struttura sperimentale senza mura e edifici, progetto di «architettura umana» ideato dall’artista nella Regione Hauts-de-France.
Liberté Cathédrale non ha uno spazio di realizzazione obbligatoria, è, come dice Charmatz, «un tessuto di relazioni e di gesti, un edificio coreografico vibrante», può abitare una chiesa come un altro luogo. A Lione la Biennale lo ha portato alle Usines Fagor, una grande scena in uno spazio industriale circondata da quattro gradinate. Un lavoro visibile da tutti i lati, dove non c’è fronte, ma relazione circolare con il pubblico, in un angolo l’organo suonato da Jean-Baptiste Monnot. Dall’alto appese luci a led che cambiano colore.
La produzione è l’espressione di un progetto tra la Germania e la Francia
SI PARTE. Resta vivo nella memoria la corsa d’entrata del gruppo. L’aria che si muove, l’ampiezza del moto che si avvolge a onda vissuto cantando, le cadute a terra, le risalite, i momenti in cui il silenzio della voce e dei corpi sospende nel tempo l’azione. Abiti neri, uno diverso dall’altro, qualche colore sotto le giacche, una camicia bianca, sneakers per tutti. C’è persino Charmatz che a Lione è entrato a sorpresa al posto di qualche danzatore assente. La voce, il canto come qualcosa che è tutt’uno con la danza fa parte da tempo della ricerca del coreografo francese.
Il suo bellissimo assolo Somnole, in cui l’artista accompagna la danza fischiando, torna in Italia a RomaEuropa il 10 e l’11 ottobre al teatro Argentina. E come in Somnole anche in Liberté Cathédrale la voce, che dal movimento in cui è incorporata si espande nell’aria, si lega profondamente all’amore per la musica. Il canto rielabora il secondo movimento dell’opera 111 di Beethoven. Non lo si riconosce ormai più, ma che guida sonora alle pause, alle corse, ai duetti singoli ribaltati a terra con i corpi intrecciati, incontri che si ripetono nello spazio più volte, segnati anche da quell’avvicinarsi agli spettatori, occhi negli occhi, dialogo aperto.
AD OGNI SEZIONE del lavoro c’è una sparizione. La scena improvvisamente è vuota. Seconda parte: i danzatori rientrano scossi da un suono potente che abbraccia Les Usines. È un suono di campane, scandisce il tremore interiore del corpo, gli slanci, i dondolii, le cadute nella gravità, il proiettarsi verso l’alto. Campane a morto, campane festose come all’uscita da un matrimonio, campane tristi, da funerale, un suono che si unisce a quello dell’organo, ora lugubre, ora fortissimo, ora intrecciato anche alle urla, una coppia che cammina con i corpi avvolti uno nell’altro, l’idea di una processione, suoni di mille città e mille vite, i danzatori che si arrampicano nelle quattro platee. Abbacinante.
Terza parte. I danzatori ora hanno la bocca spalancata, la testa riversa indietro, gli occhi al soffitto. Entrano così. Camminano, cadono a terra, si rialzano, ridanzano. C’è silenzio. Passano di nuovo di fronte al pubblico, muti, comunicano con quelle bocche, con quegli occhi dentro ogni singolo spettatore, come se le parole non fossero più possibili, come se il mondo ci stesse tradendo e le voci non potessero rivelare nulla. Non è un caso che Charmatz abbia pensato anche al silenzio devastato delle vittime di pedofilia nelle Chiese,«una voce per molto tempo non sentita, che esisteva nel silenzio».
NELLA QUARTA PARTE torna il canto, una preghiera, un cerchio grande, una speranza, mano nella mano, al centro dello spazio una catena con parte del pubblico partecipe. Si vola verso l’ultimo quadro: il suono dell’organo diventa tesissimo, accordi tenuti, quattro danzatori uno sull’altro, sembrano una sola persona. Ne arrivano altri, e poi ancora, formano una cattedrale di corpi sempre instabile, in movimento. E man mano escono di scena, alla fine ci sarà una sola danzatrice: oscilla, solitaria, su un piede, cerca un equilibrio, che è quello che tutti provano a trovare nella vita. Grande spettacolo.
Arriverà a Lille in dicembre e il prossimo aprile allo Châtelet di Parigi, seguito dalla ripresa di Sweet Mambo di Bausch al Théâtre de la Ville, un mese nella capitale francese. In Liberté Cathédrale riconosciamo nei danzatori tutti, siano essi del Wuppertal o di Terrain, un esserci dentro le cose, le personalità che si rivelano, da Emma Barrowman a Letizia Galloni, Julien Ferranti, Frank Willens, Aida Vainieri, una pienezza, una sincerità: sarebbe piaciuto a Pina.
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