Cultura

Libertario, colto e schivo: la scomparsa di Innocenzo Cervelli

Libertario, colto e schivo: la scomparsa di Innocenzo CervelliVenezia, biennale 2013

STORIA Venezia luogo d’elezione, la passione per Benjamin e quella per la fotografia. Muore lo storico che ha raccontato la modernità

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 1 giugno 2017

Si è spento Innocenzo Cervelli, «Enzo», in quella Napoli in cui negli anni sessanta aveva conosciuto la «sua ragazza del secolo scorso»: Luisa Mangoni, mancata prima di lui nel 2014, lasciandolo sopravvissuto.

INSIEME SONO STATI una coppia di storici di razza in un tempo in cui la militanza si è coniugata con la capacità di pensare i libri e con una cultura profonda di cui è testimonianza la loro comune biblioteca privata, la mole di scritti di entrambi, il ricordo della conversazione in chi li ha conosciuti.
Enzo approdò ai piedi del Vesuvio dopo gli anni di formazione a Roma, dove era nato nel 1942, entrando precocemente in contatto con la redazione di Belfagor e manifestando, in un primo momento, una spiccata simpatia per il radicalismo di sinistra di Ernesto Rossi e per la tradizione azionista.

L’Istituto Croce appagò la sua sete di buoni seminari, la sua volontà di non circoscrivere lo studio della storia a un segmento di tempo, la sua naturale tendenza all’amicizia, la sua bibliofilia. E con Luisa fu amore a prima vista, come gli piaceva dire; condivisione intellettuale – lo studio, la passione per il cinema, per la letteratura e per le arti figurative –, ma anche socialità: quella socialità che Cervelli, più timido di Mangoni, surrogava grazie all’esuberanza della compagna di vita.

DOPO UN BREVE PERIODO di insegnamento all’Aquila, trovò in Venezia un luogo d’elezione, contribuendo, a fianco di Marino Berengo, a disegnare la fisionomia di un dipartimento di Storia tra i migliori del paese. E infatti tra Ca’ Foscari, Napoli e San Marino, Cervelli formò un paio di generazioni di studenti, dottorandi e ricercatori; militò nel Partito Comunista (ma solo dopo la ricucitura con il gruppo del Manifesto), coprendo per qualche tempo – disinteressato al potere – alcuni incarichi politici.
Inoltre con Mangoni, passata dalla Rai alle aule di università, intrecciò una rete di rapporti intellettuali e umani che si estese fino alla Torino di Einaudi e Bollati, alla Trieste di Giovanni Miccoli e all’Istituto storico italo-germanico, negli anni di Pierangelo Schiera e Paolo Prodi.

PIÙ TARDI, proprio a Trento, Enzo e Luisa avrebbero concluso in anticipo, e con qualche amarezza, la loro vicenda universitaria, ma conservando con Venezia un rapporto speciale. Lo stesso che Cervelli sin dagli anni sessanta ha avuto con la fotografia, che praticava di nascosto intercettando visi di giovani contestatari, maschere del carnevale, corpi e fatiche di gente comune. Mostrava i suoi scatti a pochi, ma una piccola mostra in Laguna, organizzata dagli amici negli anni ottanta, aveva inorgoglito il «dilettante» (così si definiva) che ammirava Sander, Arbus, Berengo Gardin, Lucas, Dondero.

Gli anni più difficili sono stati quelli senza Luisa, a cui Enzo ha offerto come omaggio postumo il suo affresco della Parigi capitale del tumulto, l’ultimo libro (Alle origini della Comune, Viella 2015).
Ma chi scorra la serie sterminata dei suoi lavori (la monografia su Machiavelli e la crisi di Venezia, le indagini sulla Prussia, la ricerca sulle sibille che tanto l’aveva catturato) avrà un’idea solo approssimativa della sua cultura sterminata e della sua memoria prodigiosa, che inseguivano questioni di storiografia classica e weberiana, nodi come il cesarismo e la rivoluzione, interessi come l’ebraistica e il profetismo, con la passione per Benjamin sullo sfondo.

CERVELLI HA ANCHE riflettuto laicamente sul suicidio, commentando Jean Améry, e forse ha voluto accelerare il corso della malattia senza accanirsi a vivere. Una lezione pure questa: l’ultima, forse, di un maestro e amico solitario, libero e generoso.

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