Quanti anni ha Liberato, il musicista mascherato, rivelazione degli ultimi anni, che parla il suo metissage italo/anglo/napoletano? Più di cento. Dal 2017, anno del prorompente esordio, è impegnato in un dialogo fitto con la tradizione napoletana. Nel weekend del 16-18 settembre con tre date sold out in Piazza Plebiscito nella sua Napoli Liberato è uno e trino. Incappucciato, sottile come un’immagine bidimensionale, inquietante e piretico. È ciò che il pubblico gli chiede di essere, invisibile al culmine della visibilità, anonimo e diabolico. Non si accontenta di schermare il volto ma enfatizza il gioco del nascondimento ponendo a bordo palco una quinta, un diaframma che isola sé stesso e la band che lo accompagna, tutti mascherati da Liberato, dal pubblico estatico. Non si contano le invocazioni alla città insidiosa e archetipica. Napoli, Napoli! Gli attributi dello spavento ancestrale, si associano alla forma della graffiante canzone d’amore ambientata nei luoghi reali della città, che tormenta, che dà senso alla vita

SIAMO CONVINTI che Liberato sia un nome collettivo dietro il quale lavora un’equipe che si interroga con intelligenza su come maneggiare l’ingombrante patrimonio culturale che è toccato in sorte a chi è nato qui. L’adozione del simbolico è un ottimo passe-partout per sbrogliare la matassa. In questa chiave cade la scelta di ritornare dal vivo nella città natale, dopo più di cinque anni, durante il mese della Piedigrotta, l’appuntamento canoro per eccellenza interrotto ormai da molti anni, e della festività di San Gennaro il 19 settembre. A chiudere l’operazione si segnala il concerto per i detenuti di Poggioreale nella stessa mattina della festa del santo patrono.
L’impulso a trovare un modo per restituire in maniera efficace tanto complesso e spesso stereotipato lascito diventa stringente nell’impatto con una contemporaneità impetuosa, cruda e talvolta truculenta. Ma Liberato parla benissimo il linguaggio del presente. Così lo spettacolo torna ad essere una macchina delle meraviglie che si emancipa nel dance floor en plein air della piazza, funky, reggaeton, elettro-dance da sballo. Napoli, Napoli! Il progetto Liberato ha il pregio di riproporre attraverso un muro audio/visivo ad alto impatto percettivo della durata di un’ora e mezza un linguaggio intimo [su tutte l’emblematica Je te voglie bene assaje] come fu quello del tormentato Vincenzo Russo giunto idealmente attraverso molteplici ripescaggi culturali (Dean Martin e Louis Prima) fino a noi lunedì sera sotto il palco del demiurgo. Le tre serate hanno radunato 70 mila persone dotate di ogni dispositivo disponibile, cervello compreso, per un esperimento di vero e proprio imperialismo sonoro. I suoni bassi colpiscono allo stomaco come in un agguato teso da una forza temibile esplosa da un’altra dimensione. È attraverso l’accostamento di elementi contrastanti che emerge la cifra dello show.

GLI ATTRIBUTI dello spavento ancestrale, l’uomo mascherato è un mito terribile e potentissimo, si associano alla forma della graffiante canzone d’amore ambientata nei luoghi reali della città [Capodichino in Anna, Mergellina e Forcella in Tu t’e scurdat’ ’e me], l’amore che fa soffrire [Me staje appennenn’ amo’], che tormenta [Tu me faje ascì pazz’], che dà senso alla vita [Nove maggio, in duetto con Calcutta]. Napoli, Napoli!
Alla fine di questo intenso tour napoletano tra le varie identità possibili del man in black nostrano preferiamo quella a tratti meditabonda, quando intona il ritornello di ’O surdato ’nnammurato (Oj vita, oj vita mia) e fa riecheggiare le voci di Gennaro Pasquariello e Massimo Ranieri, e più militante, quando rievoca Tammurriata Nera nella versione popolare di Roberto De Simone/Nuova Compagnia di Canto Popolare con tanto di tammorra e danzatori sul palco.