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L’horror si fa bello

L’horror si fa bello

Lucca Film Festival Europacinema Nell'edizione di quest'anno una mostra sul «New Horror Americano», in relazione all'omaggio a George A. Romero

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 2 aprile 2016

 

Il Lucca Film Festival – 3-10 aprile; per informazioni in rete: www.luccafilmfestival.it – è una rassegna in perenne trasformazione in questi ultimi anni. Sono cambiate molte cose (basti pensare alla sua dislocazione) e anche se quest’anno non ci sono sezioni dedicate al cinema più di ricerca – tratto distintivo degli incontri di Lucca nei primi anni del festival – non mancano però occasioni per riflessioni che possono essere senza dubbio interessanti: basti pensare all’omaggio ai «Mondo Movies» – per chi scrive, la possibilità di una lezione sull’utilità sociologica che solo certi brutti film offrono (lo si dice senza ironia) – oppure all’interesse per l’horror che quest’anno si concretizza, appunto, in un omaggio al cinema di George A. Romero (con lui stesso presente) con, in aggiunta, una mostra dedicata al suo lavoro e in generale al «New Horror Americano» (Lucca, Palazzo Ducale, dal 26 marzo al 1° maggio, tutti i giorni h. 9.00-19.00, ingresso libero).

In merito, soffermiamoci sulla mostra, in cui comunque il cinema di Romero – «il regista degli zombi» e non solo, uno dei «padri» dell’horror moderno – è centrale.

A proposito della mostra

Alla base di tutto c’è Paolo Zelati, qui alla sua seconda collaborazione con il festival, dopo il lavoro su David Cronenberg dell’anno scorso per una delle mostre che furono in programma (Mutazioni di carta).

Zelati è giornalista e saggista – non solo di cinema – ma in questo caso è soprattutto collezionista di manifesti, locandine e fotobuste di film, un’attività che compie da anni e che oggi, per dire, lo porta ad avere una delle collezioni più interessanti al mondo – mi dice – di manifesti di film noir.

Parliamo al telefono con lui di George Romero e il New Horror Americano, il titolo della mostra in questione da lui curata e in cui sarà possibile vedere esposti manifesti originali americani ma anche italiani, insieme – sempre – a locandine e fotobuste. «Sai», esordisce, «sono interessato all’arte della cartellonistica italiana perché questi signori che hanno realizzato queste immagini sono veri e propri artisti, e quindi secondo me hanno creato una delle manifestazioni artistiche più interessanti da noi. Pensa a certi nomi di disegnatori: Martinati, Ballester, Capitani, Brini, sono alcuni dei grandi del periodo d’oro degli anni ’30, ’40 e ’50.» Gli chiedo quindi della mostra. «Come curatore, quest’anno ho pensato a far qualcosa sul cinema di Romero, ho costruito l’allestimento a partire da questo. Perciò si è pensato ad una cosa che valesse, anche, come omaggio al New Horror. La struttura realizzata è semplice: due sezioni, la prima sul cinema di Romero, con manifesti e fotobuste (4 manifesti, 2 set di fotobuste, tutto materiale italiano); la seconda su altri film del genere, coprendo un arco temporale che va da Blood Feast (Lewis, 1963) – antesignano dello «slasher/splatter movie» – a Hellraiser (Barker, 1987). Un intervallo di anni decisivi. In mostra, in questo caso, ci sono soprattutto i manifesti originali americani, una quindicina in totale, quasi tutti autografati dai registi e dagli attori dei singoli film.»

A questo punto una domanda-riflessione sull’importanza di Romero sembra d’obbligo.

«Sai», mi dice, «te lo metto in relazione con il mio libro, American Nightmares» – il libro è di un paio di anni fa e verrà presentato nei giorni del festival (sabato 9 aprile, h. 18, Lucca), si tratta di una serie di 22 interviste-ritratti a figure più o meno riconducibili al campo, da Richard Matheson a Brian Yuzna – «e ti dico che Romero, una persona estremamente intelligente, è uno di quei registi che vede politicamente il suo cinema di genere, o che anzi fa di questo un discorso sociale. Conscio. Come, per esempio, Tobe Hooper e Joe Dante. Magari, si potrebbe suggerire, a partire dal fallimento del ’68, dal fatto che la persona che prima era hippie si è messa la cravatta per poi andare a Wall Street.»

A proposito di collezionismo

Va da sé finire a parlare con Zelati di collezionismo legato al cinema. «Questo collezionismo è un fenomeno giovane, cioè nasce tardi, nei primi anni ’80, sia negli Stati Uniti che da noi. Diciamo che il boom è stato poco prima che apparisse Internet, e tra appassionati collezionisti ci si poteva ritrovare ad avere come potenziali clienti, per esempio, persino gente come Peter Jackson o Joel Schumacher. Per l’Italia poi, nello specifico, la considerazione da fare è che i nostri manifesti sono tra i più belli del mondo come grafica, superando in bellezza gli originali americani. Ma anche, oggettivamente, superandoli in valutazione, se pensi che il manifesto americano de L’Isola di corallo con Bogart» – in originale Key Largo, il film è del 1948, diretto da John Huston, con Lauren Bacall – «vale intorno ai 1000 dollari mentre quello italiano è stimato intorno ai 5000/6000 dollari.»

Da qui, nel discorso, si ritorna sull’operazione della mostra lucchese. Perché mettere in mostra manifesti di film, in fondo? «I manifesti sono quella cosa che ci hanno fatto innamorare del cinema, sono parte integrante dell’esperienza cinematografica, e oggi sono anche documenti storici. Più, aggiungi, il loro valore artistico-estetico, per quanto riguarda l’Italia (come quadri, come parte integrante della nostra storia dell’arte), ed ecco che ti viene svelato il motivo per cui fare una mostra di manifesti di film come, per esempio, quelli esposti a Lucca.»

Ma a questo punto c’è da chiedersi quel’è oggi la riconoscibilità pubblica della cartellonistica legata al cinema. Zelati offre il quadro, in modo lapidario. «Purtroppo», dice, «non ha assunto una sua dignità propria, infatti noi ci dobbiamo accontentare delle fiere del fumetto, per esempio quelle di Reggio Emilia, ma non c’è una vera e propria fiera dedicata alla cartellonistica del cinema, siamo sempre a rimorchio del fumetto.»

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