L’hobbit libertario di Wu Ming 4
Punti vista «Difendere la Terra di Mezzo» per la casa editrice Odoya. «Il signore degli anelli» di Tolkien letto come un grande affresco dove il centro della scena è occupato da una critica anarchica del potere
Punti vista «Difendere la Terra di Mezzo» per la casa editrice Odoya. «Il signore degli anelli» di Tolkien letto come un grande affresco dove il centro della scena è occupato da una critica anarchica del potere
Un libro da battaglia e una battaglia vinta. L’opera di Tolkien era stata confinata nel regno della letteratura di consumo, di «evasione», per l’infanzia. Per giunta, nel vuoto di interesse dei critici e dei lettori di sinistra, negli anni Settanta la destra, desiderosa di colonizzare un immaginario, aveva provato a ghermire la Terra di Mezzo di Tolkien: un caso solo italiano, in controtendenza con il successo de Il signore degli Anelli nei movimenti hippie e alternativi dei paesi anglofoni. Che il noir e la periferia di Alphaville fossero luoghi tutt’altro che irrilevanti, era già stato acclarato, e sarebbe un suicidio negare l’importanza e la dignità letteraria della letteratura per ragazzi. Ma attorno al fantasy non si registrava alcuna svolta critica di rilievo. Anzi, su Tolkien le accuse non si contavano: letteratura di consumo, antimoderna e conservatrice. Recentemente, Wu Ming 4 ha aperto fronti di lotta contro parecchi pregiudizi italiani su Tolkien.
Tra i tanti elencati, occorre soffermarsi solo alcuni che rendono pregevole il libro di Wu Ming 4 (Difendere la Terra di Mezzo, Odoya, pp. 280, euro 18): il capitolo illuminante sulle questioni linguistiche e filologiche; la modernità delle scelte etiche dei personaggi di Tolkien e la critica della figura dell’eroe, elaborata probabilmente sull’onda delle vicende belliche; l’inquadramento storico della Contea nel contesto della critica libertaria della tecnologia di William Morris e del ritorno a valori estetici e artigianali conviviali, operato in Inghilterra in una corrente che collega i luddisti e i preraffaelliti attraverso Ruskin. Infine il capitolo sul giardinaggio inglese e il paesaggio della contea.
Su un punto però c’è da affondare il coltello, ipotizzando una lettura – credo sorretta dall’impianto critico di Wu Ming 4 – de Il signore degli anelli come una critica antiautoritaria del potere. La strategia di Gandalf prevede infatti la distruzione del potere. Non la realizzazione di un contropotere (un’ipotesi leninista, sollecitata da Boromir) ma il suo annichilimento. Uomini potenti non possono impossessarsi del potere: il potere è vischioso, attraente e alimenta energie negative: quante volte coloro che sono andati al potere hanno poi traviato i loro ideali? Per Tolkien il potere non può andare né ai potenti né ai saggi. Lo stesso Gandalf sarebbe a rischio, se indossasse l’anello: come Cristo di fronte alla terza tentazione diabolica, quella del potere, Gandalf resiste e dice «Non mi tentare. Non oso prenderlo, nemmeno per custodirlo senza adoperarlo». L’importanza di quel passo viene ribadita dall’autore de Il signore degli Anelli in un brano molto significativo di una lettera privata, in cui sostiene che il virtuoso Gandalf «come signore dell’anello sarebbe stato molto peggio di Sauron». La sua sarebbe stata «un’onestà ipocrita» che nondimeno gli avrebbe permesso, nel nome del bene, di «regnare e dare ordini». Così «avrebbe reso il bene detestabile e l’avrebbe fatto assomigliare al male». Una critica totale e anarchica di ogni potere.
Per questo a farsi letteralmente carico dell’anello del potere – e condurlo alla sua dissoluzione nel fuoco? devono essere dei mezzi uomini: gli Hobbit, che nulla hanno dell’eroe medievale, né la sua forza, né la sua hýbris. Sono deboli, eppure forti della propria intelligenza, pieni di buonsenso e di insubordinazione. Al contrario Boromir è umano, troppo umano e la ricerca del potere lo perde: muore infatti subito dopo aver tentato di impossessarsi dell’anello, di toglierlo con la forza a Frodo. Diversa è la sorte di Aragorn, che non pratica la logica del comando né l’ideologia guerriera. Certo, è un re: ma è un re ramingo, che non esercita un’autorità vincolante e ricorda i capi esautorati delle popolazioni studiate dall’antropologo libertario Clastres. Letta sotto questa luce, la Terra di Mezzo è intrecciata di echi luddisti e primitivisti: forme moderne della critica anarchica. Con una lettura a ritroso, in Tolkien ho ritrovato la wilderness spirituale degli Ent assieme allo spirito lisergico e al naturismo totale dello stregone Radagast, che fa venire in mente il francese Camatte. E per magia in quelle pagine ho rivisto la critica della tecnologia di Zerzan e la tensione libertaria del William Morris di Notizie da nessun Luogo: un romanzo tra i più amati dall’ultima generazione di attivisti anglofoni dell’ecologismo radicale. Poi ho volto lo sguardo verso Mordor e ho visto in ritirata confusa le file degli apprendisti stregoni di Evola, incalzati dal libro di Wu Ming 4.
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