Tre giovani su una panchina sorridono all’obiettivo in una foto in bianco e nero. A sinistra, c’è una ragazza mora seduta accanto a un uomo in maniche corte, che tiene il mento sollevato, la testa inclinata e le spalle un po’ curve. In primo piano, a destra, le gambe accavallate di un’altra ragazza, abito leggero e capelli raccolti in un’acconciatura d’epoca. L’uomo al centro è Primo Levi, la figura alla sua destra è la sorella Anna Maria, quella a sinistra è la futura moglie Lucia Morpurgo. La fotografia ci guarda da una delle prime pagine dell’Album Primo Levi, da poco uscito a cura di Roberta Mori e Domenico Scarpa (Einaudi, pp. 342, euro 60,00). Pubblicato nella collana dei «Saggi», la stessa in cui Einaudi accolse Se questo è un uomo nel ’58, il volume ha però il formato di un atlante, e non a caso: oltre a raccogliere le immagini, il libro disegna infatti anche una mappa, una topografia di Levi e dei suoi mondi concreti e immaginari. Diviso in cinque capitoli (Cucire molecole, Andare in montagna, Auschwitz, «Carbonio», Cucire parole, Pensare con le mani), il volume è completato da due appendici (I luoghi e La vita, vero e proprio ‘atlante storico’ leviano). Le immagini, molte delle quali inedite, sono legate da un racconto critico che tiene in equilibrio la presentazione del percorso biografico-letterario da un lato, l’interpretazione dall’altro. Inframmezzati al testo si trovano brani dell’autore e le tavole ispirate al racconto Carbonio, disegnate da Yosuke Taki, artista e saggista giapponese che ha tradotto nella sua lingua le Conversazioni e interviste di Levi.
Contesti, animi, situazioni
Che cosa impariamo da quest’Album Primo Levi? Molto, sia direttamente sul piano fattuale (dati, nomi, circostanze, per conoscere i quali il lettore italiano ha ora a disposizione, finalmente tradotta per Utet, anche la biografia di Ian Thomson, Primo Levi. Una vita); sia indirettamente, per via di quella comprensione empatica di contesti, animi e situazioni che spesso le immagini ispirano. Conosciamo così i volti degli antenati evocati nel Sistema periodico e quelli degli amici della piccola comunità di ebrei torinesi trapiantati a Milano, con cui Levi visse a stretto contatto prima dell’arresto. Uno di questi, Eugenio Gentili Tedeschi, ritrasse in caricatura Primo, sua cugina Ada Della Torre e Vanda Maestro, che sarà poi con Levi al campo di Fossoli e ad Auschwitz, «andata in gas, in piena coscienza» (così nella Tregua). Proprio l’attrito tra le immagini che precedono Auschwitz e le parole scritte dopo quel viaggio verso il fondo sollecitano altre domande: che cosa restituiscono queste foto ai sommersi e ai salvati? Quali nuove ulteriori immagini mentali ricaviamo dell’autore e delle figure che abbiamo incontrato nei suoi libri?
Per provare a rispondere conviene tornare alla fotografia da cui siamo partiti. Dobbiamo mettere a fuoco, cioè, il sorriso di Levi. Un sorriso che va oltre Auschwitz senza cancellare quell’esperienza maggiore e insuperabile, ma allineandola a una serie di altri eventi e incontri che hanno fatto di Levi quel che effettivamente è stato: un autore complesso, insieme razionale e fantastico. Il sorriso del giovane Levi, diverso da quello pacato, spassionato dei ritratti maturi e senili, nasce nel desiderio avventuroso di «dragare il ventre del mistero», nella curiosità dell’adolescente che si appassiona alla chimica e alla sua scientifica ‘magia’; nasce perfino nelle vignette satiriche degli anni di liceo (riprodotte nell’Album), con cui gli studenti del «D’Azeglio» si preparavano a resistere, anche grazie alla beffa, alle deliranti mistificazioni propalate da «La difesa della razza». Tracce di quel sorriso s’intravedono perfino nel Lager, o meglio nel racconto che Levi ne fa: l’ironia amara e allusiva che emerge a tratti in Se questo è un uomo diventa vera comicità in alcuni episodi della Tregua. Ma Levi è già capace d’ironia nella prima lettera finora nota spedita in Italia durante il viaggio di ritorno, indirizzata a Bianca Guidetti Serra (nell’Album citata per intero): «ho imparato il tedesco, un po’ di russo e di polacco, e inoltre a cavarmela in molte circostanze, a non perdere il coraggio e a resistere alle sofferenze morali e corporali». Difficile resistere alla tentazione di leggere, in questo bilancio, un’allusione e un’involontaria caricatura della morale che Renzo Tramaglino recita davanti a una dubbiosa Lucia, nel finale dei Promessi sposi.
Quale contributo porta e come si situa l’Album Primo Levi nel quadro della critica leviana di questi anni? Possiamo dire a grandi linee che dopo la morte dell’autore si sono avvicendate tre fasi critiche, con altrettanti obiettivi in parte sovrapposti. La prima fase ha coinciso con la necessità di mettere in luce le qualità e la posizione di Levi come scrittore, insieme al valore della sua testimonianza; la seconda, ha promosso un’immagine più varia dell’opera di Levi, per esempio dando rilievo a temi che attraversano, collegandoli, i libri direttamente ispirati dalla memoria concentrazionaria e gli scritti fino a quel momento meno canonici (i racconti, le poesie, i saggi); la terza fase, quella attuale, ha il compito di mantenere attivo e straniante l’effetto-Levi, reagendo contro gli stereotipi. Stereotipi sull’opera, che la vorrebbero tutta e solo tragica, tutta e solo su Auschwitz; e stereotipi sulla figura e l’esperienza dell’autore, che rischiano di essere relegate «ossequiosamente nel nobile castello della Storia Patria» (così Levi stesso si esprimeva sul pericolo di «imbalsamazione» della Resistenza, in Il tempo delle svastiche, 1960, citato nell’Album).
La scrittura per Levi è stata anche felicità di raccontare, e stabilire rapporti e affetti attraverso il racconto, come è accaduto con Lucia Morpurgo: «ho raccontato le mie cose a lei come le raccontavo a tutti, ma ho trovato una udienza molto più vicina e affettuosa». Il brano si legge in un’intervista del 1982, pubblicata nell’ultimo numero di «Riga»: Primo Levi, a cura di Mario Barenghi, Marco Belpoliti e Anna Stefi, «Riga 38» (Marcos y Marcos, pp. 573, euro 35,00). Il periodico fondato da Belpoliti con Elio Grazioli aveva già dedicato a Primo Levi il volume n. 13 (1997), che aveva dato un contributo decisivo alla seconda fase degli studi leviani; vi si trovavano, oltre a testi e conversazioni d’autore, un’antologia della critica e ventiquattro voci per un ‘dizionario’ tematico leviano, da Animali a Visitatore. Rispetto a quella versione, il numero 38 è profondamente rinnovato: contiene scritti rari e pronunciamenti d’autore, ulteriori interviste e recensioni, il dizionario con alcune variazioni. Del tutto inedita è l’ultima sezione, che accoglie i testi del convegno Primo Levi antropologo ed etologo, svoltosi nel 2016 alle Università di Bergamo e di Milano-Bicocca (con i contributi dei curatori, Barenghi e Belpoliti, e di Aime, Santucci e Alleva, Barbetta, Beani, Benvegnù, Cinquegrani, Fabietti, Gordon, Marrone, Mengoni, Pianzola, Porro, Pievani, Remotti, Ruffini, Scarpa). La questione di fondo che il tema del convegno solleva è cruciale, non solo perché Levi coltivò un interesse non comune per le due scienze, ma anche perché rileggere l’opera leviana alla luce dell’etologia e dell’antropologia significa interrogarsi sulla possibilità di estendere osservazioni maturate in una specifica condizione storica al livello più generale dei rapporti tra individui, culture e specie.
Umano e animale, ibridazione
È una domanda che lo stesso Levi si è fatto, dandosi risposte diverse nel corso degli anni, ma sempre evitando – lo osserva Gianfranco Marrone – sia il «riduzionismo delle differenze culturali» su base biologica, sia il relativismo culturale che «tende a giustificare ogni azione e valore». Certo, nei racconti di Storie naturali umano e animale tentano di ibridarsi, lasciando intravedere nel rapporto tra uomini e creature ‘fantabiologiche’ dinamiche simili a quelle storicamente attuate in nome della cosiddetta razza. Ma, come ricorda qui Robert Gordon, proprio in quei racconti riemergono anche «altri strati, stili e pensieri» elaborati nel primissimo Dopoguerra e messi in secondo piano dalle esigenze della testimonianza. La conoscenza degli ‘altri stili’ di Levi, degli «aspetti della sua coscienza o del suo sentire che più resistevano alla ragione analitica» (Barenghi) è tra gli obiettivi del volume leviano di «Riga» che, a vent’anni dal precedente, recupera e ci consegna nuove immagini di Levi.