Europa

L’Europarlamento condanna l’Ungheria: «Un’autocrazia elettorale»

L’Europarlamento condanna l’Ungheria: «Un’autocrazia elettorale»Il primo ministro ungherese Viktor Orbán; in basso sessione plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo

Strasburgo Approvata la risoluzione che accusa il governo di Viktor Orbán di agire «contro i valori della Ue». Il centrodestra vota diviso: Lega e Fd’I, con i gruppi Id e Ecr, contro; Forza Italia, col Ppe, a favore

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 16 settembre 2022

Nuova condanna all’Ungheria da parte del Parlamento europeo, un altro voto dopo l’avvio della procedura in applicazione dell’articolo 7 nel 2018 deliberato dalla precedente assemblea, per il non rispetto dello stato di diritto.

La risoluzione, presentata dall’eurodeputata Verde francese Gwendaline Delbos-Corfield, ha ricevuto 433 voti a favore e 123 contrari, in 28 si sono gli astenuti: ha votato contro il grosso dai due gruppi di estrema destra, Identità e democrazia e Conservatori e Riformisti, di cui fanno rispettivamente parte la Lega e Fratelli d’Italia; Forza Italia invece ha votato a favore, in linea con il gruppo del Ppe.

NELLA SUA PESANTE relazione l’Europarlamento denuncia l’Ungheria diventata «un’autocrazia elettorale» e condanna gli «sforzi deliberati e sistematici» del governo di Viktor Orbán di agire «contro i valori della Ue». La plenaria di Strasburgo ha messo in guardia Consiglio e Commissione e chiesto alle due istituzioni di fare chiarezza sull’applicazione dell’articolo 7. Altri voti di condanna per leggi specifiche o per chiedere un rispetto preciso della “condizionalità” hanno già avuto luogo.

Secondo il testo della risoluzione, Orbán ha messo in atto «un regime ibrido di autocrazia elettorale», in cui ci sono le elezioni ma manca il rispetto delle norme democratiche. Viene denunciata una «situazione inquietante» in vari campi: l’indipendenza della giustizia, la corruzione, le libertà pubbliche, il rispetto dei diritti delle minoranze (dalle persone Lgbtq+ ai migranti e ai rifugiati), la libertà religiosa, di espressione e di associazione, i conflitti di interesse, il funzionamento costituzionale e il sistema elettorale.

«Mettere in discussione le prestazioni della nostra democrazia è un insulto nei confronti degli ungheresi, che hanno eletto questo governo già 4 volte», ha reagito il ministro degli Esteri Peter Szijjarto.

L’Europarlamento chiede alla Commissione di applicare l’articolo 7 e di rimandare ancora l’approvazione del Piano di rilancio di Budapest: finora il finanziamento previsto per l’Ungheria, 7 miliardi di sovvenzioni (il paese non ha chiesto prestiti, preferisce trovare i soldi sul mercato da solo), è congelato a causa del non rispetto dello stato di diritto (anche la Polonia non ha ancora ricevuto i finanziamenti, ma il suo Piano di rilancio è stato approvato, la situazione si è sbloccata grazie all’accoglienza dei rifugiati ucraini, malgrado la procedura da articolo 7 avviata dalla Commissione nel 2017).

IL PARLAMENTO EUROPEO chiede anche che l’Ungheria venga esclusa dai programmi di coesione, per la cattiva utilizzazione dei fondi europei, per evitare che ne venga fatto «un uso politico». Al Consiglio, gli eurodeputati ingiungono di agire: l’articolo 7 non richiede l’unanimità, quindi i 27 hanno la possibilità di formulare raccomandazioni per arginare il serio attacco ai valori democratici da parte di Orbán (del resto l’alleanza di Visegrad è esplosa a causa della guerra in Ucraina e le diverse posizioni, con la Polonia avversaria di Putin e Budapest schierata chiaramente con la Russia, contro le sanzioni).

«LE CONCLUSIONI del rapporto sono chiare e senza equivoco – spiega Gwendaline Delbos-Corfield – l’Ungheria non è più una democrazia». Per la relatrice, «era fondamentale che il Parlamento europeo prendesse questa posizione, tenuto conto dell’urgenza e della gravità degli attacchi contro lo stato di diritto in Ungheria». È «un segnale d’allarme» che il Parlamento europeo ha inviato, guardando anche alla minaccia di derive analoghe, in altri paesi dove l’estrema destra fa passi avanti (ieri la Svezia, domani l’Italia).

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