Lontana anni luce dal Qatargate di fine 2022 e dalle eterne forme di pressione affaristica sulle istituzioni, l’iniziativa dei cittadini europei (Ice) chiamata End the Cage Age (Stop all’era delle gabbie, il sito www.endthecageage.eu), con 1,4 milioni di firme certificate, ha fatto lobby a favore di soggetti che non offrono nemmeno il becco di un quattrino: galline ovaiole, scrofe, vitelli, conigli, quaglie, anatre e oche, tuttora allevati dietro le sbarre.

LE ISTANZE DI END THE CAGE AGE (la terza iniziativa cittadina europea per numero di firme, da quando questo strumento di partecipazione diretta alla politica è stato previsto dal trattato di Lisbona del 2009) sono state accolte sia dal Parlamento europeo che dalla Commissione. La quale si è impegnata a definire entro il 2023 una proposta di revisione dell’attuale normativa a tutela degli animali negli allevamenti, compresa la graduale eliminazione di tutte le gabbie fino al loro divieto totale nel 2027.

SONO ANCORA 300 MILIONI IN EUROPA gli animali da reddito in gabbia, oltre ai pesci in acquacoltura, avvertono le 170 associazioni impegnate nella Coalizione End the Age Cage. Circa 200 milioni sono galline ovaiole (fonte: Ismea) e i restanti 100 milioni sono scrofe, anatre, oche, quaglie, conigli, e vitelli. In Italia le gabbie rinchiudono circa 38 milioni di animali; fra i grandi paesi fanno peggio di noi Francia e Spagna; meglio la Germania. Nell’Ue, 8 milioni di mother pigs (le scrofe, che la Coalizione ritiene un po’ un simbolo) passano buona parte della loro vita confinate in box di gestazione e poi di allattamento.

DELLE 5 LIBERTA’ DI CUI GLI ANIMALI dovrebbero godere anche in un allevamento, sulla base del Brambell Report del 1965, nelle gabbie vige solo quella da fame e sete. L’ambiente fisico adeguato alla vita e al riposo non c’è, né la libertà da malattie, ferite e traumi, né la libertà da paura e stress, né infine quella di manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche con sufficiente spazio e la compagnia degli altri animali. Nel confinamento estremo nessun benessere è possibile, ha spiegato il veterinario Marcello Volanti nel corso di un convegno organizzato dalle oltre venti associazioni italiane di End the Cage Age lo scorso novembre, puntualizzando: «Per gli animali tutto si gioca nel presente. Noi umani abbiamo strategie per superare disagi e sofferenze se momentanei, l’animale no. Non elabora la sofferenza. La interiorizza».

IL QUADRO NORMATIVO FINORA è frastagliato. Le gabbie convenzionali per le ovaiole sono vietate nell’Ue (dalla direttiva europea 74 del 1999) e in Svizzera, ma si è trovato l’escamotage di sostituirle con le cosiddette «arricchite»; hanno vietato anche queste ultime Austria e Lussemburgo. Quanto alle scrofe, in Svezia, Norvegia e Svizzera sono vietate sia le gabbie di gestazione che quelle per la maternità.

PRECISA LA LAV NEL DOSSIER anche fotografico La transizione possibile verso un’era senza gabbie. Il caso delle ovaiole in Italia del 2022, corredato da un’inchiesta sul campo in otto strutture intensive italiane: nel nostro paese, che produce 772.000 tonnellate di uova all’anno, 16 milioni di galline ovaiole in Italia, il 36% del totale, vivono ancora nelle gabbie arricchite che presentano molte illegalità e non assicurano affatto un livello seppur minimo di benessere. Sovraffollamento, animali sofferenti, luce artificiale, condizioni igienico-sanitarie inadeguate, zampe incastrate nel metallo, plumofagia da stress, animali mal curati. Nessun arricchimento di benessere.

EPPURE I CONSUMATORI SONO DISPOSTI a pagare meglio le uova purché provengano da sistemi alternativi (i migliori sono i biologici e all’aperto), più accettabili dal punto di vista etico e anche più salutari, soprattutto di fronte al pericolo zoonosi – sempre più avvertito – e a quello della resistenza antimicrobica). Purtroppo le informazioni sul packaging sono spesso fuorvianti. Comunque i sistemi alternativi si rivelano anche più redditizi.

MA BISOGNERA’ DARE SOLDI agli allevatori? Quanto all’Italia, secondo la «Valutazione dell’impatto economico dell’eliminazione delle gabbie negli allevamenti suinicoli» richiesta da Compassion in World Farming al Centro ricerche produzioni animali (Crpa) di Reggio Emilia, nell’ipotesi che tutti gli allevamenti nelle tre regioni più suinicole d’Italia apportino adeguamenti per le fasi nelle quali le gabbie per le scrofe vigono ancora, il costo totale di investimento ammonterebbe a 907 milioni di euro.

COME VEGLIARE SUI RITARDI, in questo 2023 anno di svolta? Memori della lentezza – in Italia e altri 13 paesi europei anni fa – nella transizione verso le gabbie «arricchite» per le galline ovaiole, le associazioni vigilano. Sintetizza Matteo Cupi, vicepresidente di Animal Equality Europa (organizzazione che peraltro di recente ha condotto un’inchiesta su una condizione di degrado igienico-sanitario e di sofferenza estrema di tutti i maiali e non solo delle scrofe, in un allevamento dop del bresciano): «La transizione verso allevamenti senza gabbie per tutti gli animali è fattibile oltre che doverosa. L’Italia è chiamata a sostenere il divieto sia a livello nazionale che europeo». E Lorenza Bianchi, responsabile allevamenti della Lav: «Il governo italiano si adoperi per sostenere e accelerare la transizione; vincoli i sostegni finanziari alla dismissione delle gabbie in tutti gli allevamenti».