Editoriale

L’Europa per forza

L’Europa per forza

L’idea di un’Europa solidale con i deboli, accogliente e aperta agli stranieri è naufragata giorno dopo giorno, negli ultimi anni, tra eruzioni di sciovinismo nazionale e locale, negazione dei diritti […]

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 16 dicembre 2015

L’idea di un’Europa solidale con i deboli, accogliente e aperta agli stranieri è naufragata giorno dopo giorno, negli ultimi anni, tra eruzioni di sciovinismo nazionale e locale, negazione dei diritti umani e ottusità burocratica comunitaria. Oggi, la Commissione europea dà un altro colpo di piccone all’ideologia europeistica, già abbondantemente compromessa, rivelandosi apertamente per quello che è, ovvero un’istituzione, non eletta da nessuno, ma delegata dagli stati al controllo economico interno ed esterno.

Il richiamo all’Italia per l’attivazione degli hot spot e di procedure «legislative» per rilevare le impronte digitali dei migranti anche con «la coercizione» è un capolavoro di ipocrisia e ingerenza negli affari interni di uno stato membro. Con che diritto un’istituzione esecutiva si fa promotrice dell’adozione di un «quadro legale» che legittimi pratiche di violazione dei diritti umani? Intendiamoci, qui non si tratta di difendere il governo italiano, che gioca a rimpiattino in tema di immigrazione ed è sempre pronto a lamentarsi di essere stato abbandonato da mamma Europa.

Qui si tratta di comprendere come le leggi invocate non siano altro che formule verbali di copertura di pratiche illegittime.

Per cominciare, l’Europa non dispone di una legislazione omogenea in tema di impronte digitali. La maggioranza degli stati non consente questa procedura per i richiedenti asilo (il che è dettato da ovvie considerazioni di protezione delle persone). Altri, ma non tutti, lo consentono solo per i migranti irregolari o presenti illegalmente sul territorio dell’Unione. Alcuni stati non permettono di prelevare le impronte senza un provvedimento del giudice. La mossa della Commissione, insomma, si configura come una forzatura dettata da pure ragioni di controllo e di restrizione degli spazi di libertà personale dopo gli attentati di Parigi (d’altronde la Francia, già considerata paradiso dei diritti umani, ha dichiarato ufficialmente che è disponibile a revocarne alcuni per ragioni di sicurezza…).

Quanto agli «hotspot», cioè i punti caldi delle frontiere mediterranee dell’Unione, il gioco è evidente: irrigidire, nei limiti del possibile, il ruolo dei Cie e centri di detenzione analoghi senza prendere in considerazione le denunce di irregolarità e violazione dei diritti umani che periodicamente li riguardano. Immaginiamo che significhi a Pozzallo, Lampedusa e altrove usare la «coercizione» quando si prendono le impronte digitali. Stiamo parlando di migranti a cui si impedisce di fatto di essere registrati come richiedenti asilo, donne, minori, bambini. Parlare di uso della forza significa legittimare a priori, con o senza il «quadro legale», pratiche di limitazione delle libertà personali e violenza che non dipendono tanto dalla buona volontà o inclinazione personale di agenti e operatori vari, ma dall’ambiguità e dalla discrezionalità delle procedure.

La banale verità è che l’Europa non vuole tra i piedi gente sospettabile di simpatizzare con l’islamismo radicale, anche quando i sospetti non hanno alcun fondamento.

All’ultimo vertice europeo sono stati stanziati tre miliardi per la Turchia di Erdogan, affinché ci tenga lontani gli immigrati e possibili richiedenti asilo, che verosimilmente provengono da Siria, Iraq, Afghanistan e così via. La stessa Turchia che reprime il dissenso interno, incarcera i giornalisti, combatte i kurdi e ingaggia un braccio di ferro dalle conseguenze imprevedibili con la Russia di Putin.

L’estate scorsa Angela Merkel, la donna più potente d’Europa, aveva fatto sperare che l’Europa si aprisse ai profughi. Oggi, i burocrati anonimi di Bruxelles stanno rimettendo le cose al loro posto.

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