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L’Europa afona e complice

L’Europa afona e compliceBarricate a Donetsk – Reuters

Ucraina Poroshenko ha riacceso il confronto armato pericolosamente. L’Italia, pur chiamata in causa da Putin, non ha alcun ruolo

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 29 maggio 2014

Il neoeletto presidente ucraino Petro Poroshenko aveva promesso in campagna elettorale di «portare la pace in tre mesi» nel Paese. Appena nominato ha fatto vedere negli ultimi due giorni come intendeva farlo: con una guerra definita eufemisticamente «operazione antiterrorismo» – così fan tutti – che ha causato almeno cento morti, metà dei quali civili, nella regione di Donetsk controllata dalle milizie filo-russe. La situazione (delle vittime e umanitaria) potrebbe peggiorare nei prossimi giorni. Ora, anche la missione Osce, a detta del suo segretario generale Lamberto Zannier, è «ad alto rischio». E infatti risulta dispersa una seconda squadra di osservatori. Sempre il «re del cioccolato» e oligarca (così definito anche dal filo-atlantico Corriere della Sera di ieri) Poroshenko ha minacciosamente avvertito: «Senza un’Ucraina stabilizzata non sarà possibile garantire la sicurezza dell’intera Europa».

Dopo settimane di relativa tranquillità, l’offensiva ucraina degli ultimi due giorni riporta il paese sull’orlo del baratro. Gli Usa e la Nato, con i polacchi, soffiano sul fuoco, i russi stanno alla finestra giocando un ruolo reticente, ambiguo e interessato, l’Europa è seduta su una panchina, incapace di proporre un negoziato e di fermare la dinamica bellica che il neoeletto Poroshenko ha pericolosamente rimesso in movimento. L’Italia, pur chiamata in causa da Putin, non è dato sapere.

È una dinamica che assomiglia sempre di più a quella alla quale abbiamo assistito negli anni ’90 in ex Jugoslavia, con le dovute differenze del caso. E non solo per l’importanza geopolitica del coinvolgimento della Russia, ma anche per l’esplicita intenzione della Nato di allargarsi e stabilirsi in Ucraina, monitorando così sempre più da vicino le mosse di Mosca. L’Europa invece – come nella vicenda jugoslava – è sempre, sostanzialmente, alla finestra. Nonostante aiuti finanziari e abbozzi di accordi tra Ue e Ucraina, l’Europa non riesce ad avere un ruolo.
Poroshenko, quando dice che la vicenda ucraina potrebbe mettere a rischio la sicurezza europea, un po’ di ragione ce l’ha. Se la guerra si intensifica e si allarga in qualche modo alla Russia, che è ai confini, allora la frittata è fatta.

Potrebbe essere coinvolta la Nato e l’Europa si troverebbe sulla linea del fronte, spaccandosi tra interventisti e moderati, disponibili al negoziato. L’Italia si è distinta per la sua opacità e la sua incapacità di contribuire alla costruzione di un profilo politico autonomo ed incisivo dell’Europa. Per far ripartire il negoziato, bisogna fermare l’offensiva sul campo e far tacere le armi. Basta con gli ultimatum di Kiev. Gli Stati Uniti e la Nato devono smetterla di soffiare sul fuoco, l’Europa deve riacquistare la sua voce, la Russia farla finita con le ambiguità e le complicità con le milizie. La prova muscolare non porta da nessuna parte. O forse sì: alla guerra generalizzata e prolungata.

Fatta la tara alla strumentalità politica veicolata da Mosca e alle pulsioni nazionaliste e violente – che, è bene ricordarlo, fanno il paio con una parte di quelle di Piazza Majdan – il problema della tutela e della salvaguardia dei diritti delle minoranze russofone è una questione reale, soprattutto perché non si sono mai sentite tali nella ex Urss e nella Csi.

Non si possono fare pervicacemente gli stessi errori già così atrocemente messi in atto negli anni ’90 in ex Jugoslavia. Non si può affrontare un tema così complesso come la gestione dello sfaldamento di paesi o federazioni multietniche, premiando i nazionalismi, la geopolitica, gli interessi strategici ed economici delle grandi potenze o delle vecchie alleanze militari o economiche. La lezione dell’ex Jugoslavia avrebbe dovuto consigliarci la retta via. Ma così non sembra: nazionalismi ed interessi geopolitici tornano a prevalere. E non è una buona notizia per l’Europa.

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