Lettera di un prof ai suoi studenti
Lettere Ragazze e ragazzi, come state? Questa domanda, che spesso in classe tralasciamo, troppo presi dalle scadenze e dalle tempistiche di lezioni, verifiche e interrogazioni, oggi mi sembra una forma di […]
Ragazze e ragazzi,
come state? Questa domanda, che spesso in classe tralasciamo, troppo presi dalle scadenze e dalle tempistiche di lezioni, verifiche e interrogazioni, oggi mi sembra una forma di cura nei vostri e nei miei confronti.
Vi scrivo dopo numerosi giorni chiuso in casa, a parte qualche uscita per fare la spesa. Non so più quanti giorni siano passati.
Ci siamo salutati un sabato, presi dalla nostra quotidianità, convinti di rivederci il lunedì.
Invece tutto è cambiato, di colpo, come un fulmine a ciel sereno.
E’ come se quella domenica 23 febbraio, in cui tutto per noi è iniziato, avesse stabilito un prima e un dopo: nelle nostre abitudini, in come ci relazioniamo, in ciò di cui parliamo e nel modo in cui parliamo. Uno spartiacque delle nostre certezze e delle nostre paure.
Penso che valga per tutti noi.
Anche se è vero che non tutto è cambiato immediatamente. Ci è voluto tempo, forse troppo, per evitare uscite inutili. All’inizio non abbiamo compreso fino in fondo. Io per primo, nella settimana precedente, ho sottovalutatato a potenza di questo virus, non ne avevo capito la gravità.
Abbiamo visto tanti mettere davanti gli interessi personali a quelli della collettività: chi per una corsa, chi per rientrare nei paesi d’origine percorrendo l’Italia intera, chi – ancora più colpevole e ancora oggi – difende i profitti senza tutelare la salute dei propri lavoratori e quella pubblica.
Alla fine siamo arrivati alla condizione di oggi: chiusi in casa, le relazioni ridotte a zero, guardiamo fuori dalla finestra perché il futuro ci appare un po’ diverso da come lo pensavamo solo un mese fa.
I pensieri e le menti, le vostre ma, in tutta onestà anche la mia, ora sono occupati per la maggior parte del tempo dalla preoccupazione per quello che sta accadendo, dall’ignoto che ci è davanti, da quando torneremo a scuola o come concluderemo l’anno scolastico, come sarà la maturità, cosa potremo fare questa estate. E questo è uno shock, perché da un giorno all’altro cambia la quotidianità e la nostra capacità di immaginarsi nel futuro.
Non vedervi in questi giorni per me non è semplice. Lo capite da quanto tempo occupa questo discorso nelle mie lezioni online (e chi l’avrebbe mai detto che ci saremmo visti per mesi online).
Credo che in questa situazione non ci sia qualcuno che ha capito tutto, le cattedre dalle quali spesso noi insegnanti ci innalziamo, distanziandoci da voi, sono state distrutte.
È un’occasione da saper utilizzare, valorizzando questo desiderio di confrontarci che le contingenze fannno irrompere: un desoderio che vedo nei vostri sguardi dallo schermo, leggo nelle vostre parole sulle chat e si rispecchia, identico, nel mio sentire.
Le disequazioni e le parabole possono passare in secondo piano, le ritroveremo lì ad aspettarci fra i banchi di scuola.
Ragionare insieme serve a contaminarsi nel sapere, avere spirito critico su ciò che accade attorno a noi, ci aiuta ad avere meno paura per quello che abbiamo davanti. Probabilmente questa pandemia cambierà il mondo in molti aspetti, non so se in meglio o in peggio. E non so neanche se andrà tutto bene, non riesco a dirvelo.
Non riesco nemmeno a cantare dai balconi, perché in molte città, tra cui la mia, Bergamo, si soffre. Davanti a tutte queste incertezze che condivido con voi, posso promettervi che proveremo ad attraversare questo deserto insieme, ad affrontare insieme uno degli esame di maturità più difficili che la storia ci mette di fronte, a guardare negli occhi ciò che non ci sta bene e a cambiarlo, se necessario.
Ci daremo una mano, perché questo ve lo devo. Non perché io sia un saggio, ma perché, come diceva sempre un amico che mi ha insegnato a guardare negli occhi le ingiustizie e le storture del mondo: “siamo vecchi arnesi, dobbiamo lasciar il meglio di noi a chi viene dopo”.
Che mondo volete domani? Come lo sognate?
Cosa significa anteporre la comunità all’io?
Immaginiamo un mondo ancora iper accellerato o vogliamo sentire un battito diverso del tempo?
Di questo voglio parlare con voi. Questo vi devo, perché così ne usciremo uomini e donne migliori.
Avanti!