«Lealtà e ingenuità sono tratti peculiari della giovinezza, dato che non c’è niente da perdere oppure ce n’è ben poco, e questo ci rende audaci e caparbi, è una forza che smuove il mondo intero. La forza di credere nella lealtà del mondo. La convinzione che tutto debba essere corretto e leale e non contaminato dalla menzogna. Forse è proprio questo il metro per capire se la giovinezza sta finendo. Abituarsi alla slealtà del mondo e smettere di soffrirne». Così scrive l’iraniano Mohammad Tolouei nel racconto Una porta senza porta uscito a marzo 2022 sul mensile Nadastan con il titolo Darvāze-i bi darvāze, tradotto da Asia Raoufi e dato alle stampe nell’Internazionale in edicola.

Nato nel 1979, Tolouei è stato guest editor del numero Storie dell’Internazionale di fine 2021 dedicato all’Iran. Ha studiato cinema e drammaturgia all’università Sureh, vive a Teheran ed è uno dei più attivi scrittori della sua generazione. Autore di romanzi per adulti e ragazzi, ha pubblicato una serie di libri per bambini. È stato redattore di alcune delle più prestigiose riviste culturali del suo paese. In italiano, Le lezioni di papà (Ponte33, 2019) è un breve e tenero libro di racconti dedicato a suo padre e alla sua famiglia. È tra coloro che parteciperanno allo spazio speciale sull’Iran al Festival di Internazionale domani a Ferrara (ore 11 Cinema Apollo). Sarà un’occasione per parlare di Iran da una prospettiva culturale insieme ad alcuni protagonisti della scena intellettuale e artistica, divisa tra chi è rimasto e chi si è trasferito all’estero. 

Tra gli altri protagonisti vi saranno la poetessa Bita Malakuti, la fotografa e regista Mozhde Nourmohammadi e il traduttore dal persiano e dall’arabo Giacomo Longhi che modererà. Quest’ultimo ha curato le traduzioni italiane del numero Storie di Internazionale. Laureato a Venezia, ha studiato anche ad Aleppo e Mashhad e al momento è impegnato in un dottorato di ricerca all’università Sapienza sull’uso del linguaggio colloquiale nel romanzo persiano. «Mi sono avvicinato agli studi persiani per caso. Volevo dedicarmi al mondo islamico e mi sono iscritto ad arabo a Ca’ Foscari, dove mi è stato chiesto di scegliere una seconda lingua. Ho optato per il persiano perché più esotico rispetto al turco, che percepivo vicino all’Europa. Non sapevo nulla di Iran e mi sono subito reso conto che il persiano mi era famigliare per la struttura della frase e per la similitudine di certe parole perché di origine indoeuropea: baradar vuol dire fratello, madar vuol dire madre»

Il passaggio dall’università al lavoro di traduttore è stato immediato: «Sapevo che avrei voluto utilizzare le mie competenze nella lingua araba e nel persiano per aprire nuove strade. Il mio obiettivo era creare maggiore biodiversità nell’editoria italiana, dove si è prevalentemente tradotto dall’inglese e dalle altre lingue europee. Io, invece, volevo aprire altri fronti». Tra il 2010 e il 2020 qualcosa era cambiato «con l’apertura della casa editrice Ponte33 da parte di Felicetta Ferraro e l’attività di Anna Vanzan, che ha tradotto numerose opere dal persiano. Sono state queste studiose ad aumentare la produzione e la diffusione della letteratura persiana in Italia. Mi sono inserito nel loro solco. Ho lavorato molto con Felicetta, e ho apprezzato l’impegno di Vanzan, imparando da entrambe».

Longhi ha tradotto Tehran Girl di Mahsa Mohebali (Bompiani, 2020), Ritornerai a Isfahan di Mostafa Ensafi (Ponte33, 2019) e Pietra paziente di Sadeq Chubak (Ismeo-Ponte33, 2021). Si occupa di scouting di scrittrici e scrittori iraniane per alcune case editrici italiane: «È una passione che si alimenta con la curiosità. La letteratura persiana è poco nota, ogni volta scopro qualcosa di nuovo. Andando a Teheran, soprattutto i primi anni, frequentavo la fiera del libro scoprendo un mondo ignoto». Poco per volta, ha iniziato a proporre le opere di autori iraniani dapprima a piccole case editrici e poi cercando di fare il salto, con un editore più grande: «È un bel lavoro. La difficoltà maggiore è l’inserimento in un mercato editoriale che non sa cosa aspettarsi. Fanno eccezione case editrici specializzate, come Ponte33 e Francesco Brioschi Editore che sta facendo un ottimo lavoro, non soltanto sul persiano. Il mio scopo era proporre scrittori iraniani a case editrici grandi, generaliste. Lì, gli editor sono più selettivi e devi convincerli a pubblicare autori sconosciuti a livello internazionale. Devi fare passare l’idea che se traduci letteratura persiana scritta in Iran lavori su opere pensate e diffuse per un pubblico locale. Di conseguenza, una letteratura che non va incontro alle aspettative occidentali, più difficile da leggere, che rappresenta una sfida ma anche un’opportunità per approfondire la conoscenza di come pensano e cosa sentono le iraniane e gli iraniani». 

A proposito delle dimostrazioni di protesta successive alla morte della ventiduenne Mahsa Amini, fermata dalla polizia morale il 13 settembre mentre si trovava a Teheran in vacanza con la famiglia, Longhi spiega: «La notizia mi ha riempito di dolore e sconforto. Ci tengo a esprimere la mia solidarietà alle iraniane e agli iraniani, mi auguro che le loro richieste siano ascoltate e che le violenze si fermino subito. Siccome mi occupo di letteratura, sui social ho postato una serie di libri di scrittrici iraniane pubblicati in italiano. Queste opere sono lo specchio di cosa si scrive e si legge in Iran. Sono romanzi fondamentali per comprendere com’è il paese oggi, accanto alle opere di autrici e autori che vivono da sempre in Europa e negli Stati Uniti. Sono la voce non filtrata di quello che pensano e scrivono le donne nate e vissute in Iran che, anche se sono andate a vivere altrove, continuano ad alimentare il dibattito culturale interno». 

A proposito dell’andare a vivere altrove, domani al festival di Ferrara interverranno anche la fotografa e regista Mozhde Nourmohammadi e la poetessa e scrittrice Bita Malakuti. Dopo aver studiato cinema e graphic design a Teheran e aver perfezionato i suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Bologna, ora Nourmohammadi vive in Spagna. Il focus della sua ricerca artistica sono le donne e il loro rapporto con la società, e l’estetica delle sue opere è profondamente influenzata dalla poesia e della letteratura persiana. Nel caso di Malakuti, dopo un periodo negli Stati Uniti si è laureata in drammaturgia all’università Azad di Teheran e attualmente vive a Praga. Scrive articoli di critica teatrale e ha all’attivo tre raccolte di racconti e due libri di poesie, molte delle quali tradotte in diverse lingue, tra cui Questa valigia è la mia patria: «Ovunque la apro si sparge il profumo dei tulipani appassiti al confine l’odore della secca dello stagno di Anzali l’odore dei sali vaganti l’odore delle nevi impallidite di Dena l’odore tuo che scivola via Ovunque vado dalla valigia torna la voce cantilenante di mia madre la voce dei suoi lunghi capelli sciolti nella notte».