Lettera di espulsione per 36 dissidenti M5S: «Fuori dai gruppi»
Stelle filanti Sulle misure definitive dovranno esprimersi i probiviri. Di Battista smentisce scissioni
Stelle filanti Sulle misure definitive dovranno esprimersi i probiviri. Di Battista smentisce scissioni
La lettera è arrivata nel primo pomeriggio. Vergata su carta intestata dei gruppi parlamentari del Movimento 5 Stelle, perché serve ad espellere i 15 senatori e 21 deputati che non hanno votato la fiducia al governo Draghi, disattendendo le indicazioni dei vertici e il voto espresso a maggioranza dagli iscritti sulla piattaforma Rousseau, ma solo dalle compagini parlamentari. Ad opera dei capigruppo e su richiesta del capo politico. Dunque, la decisione sull’espulsione dal M5S, che deve essere presa formalmente dal collegio dei probiviri, ancora non è arrivata.
IN QUEST’ORGANISMO, come nel M5S, c’è disparità di vedute. Per Raffaella Andreola, consigliera comunale a Villorba, in provincia di Treviso, i provvedimenti vanno sospesi: «Trovo che le priorità del collegio non siano certo le votazioni di dissenso alla Camera o al Senato – fa sapere – Lo dico indipendentemente dalla mia posizione personale». Gli altri due componenti del collegio sono Fabiana Dadone, attuale ministra delle politiche giovanili, e il consigliere regionale veneto Jacopo Berti. Finora le decisioni sono state prese per consenso, e non erano note le posizioni di ogni singolo membro del collegio chiamato a giudicare. Nel frattempo circolano dubbi sull’opportunità di prendere così tanti provvedimenti punitivi, di fatto favorendo una scissione. «Ricordo che tanti colleghi che hanno votato in dissenso sono parte fondamentale del M5S, oltre che amici fraterni e compagni di tante battaglie. Serve unità adesso, perché proprio in questo momento comincia la nostra più grande partita», sostiene ad esempio la vicepresidente del Senato Paola Taverna. Anche per l’ex ministra del lavoro Nunzia Catalfo, che siede in senato, è difficile andare avanti «senza i tanti amici e compagni con cui in questi anni, dentro e fuori dal palazzo, abbiamo combattuto le nostre battaglia». La linea dei vertici è netta: «C’è una regola a cui tutti dobbiamo attenerci: noi siamo portavoce. E se i nostri iscritti decidono noi dobbiamo dare seguito a quella decisione, altrimenti saremmo come gli altri», spiega Davide Crippa, capogruppo a Montecitorio.
CHE LA VERA POSTA in palio siano le sorti del M5S è confermato dal fatto che la prospettiva di costituire un altro soggetto viene accarezzata solo da una porzione di grillini che ormai da tempo agivano come separati in casa. «Serve un’opposizione organizzata. Un passo alla volta, senza forzature», dice ad esempio il deputato Pino Cabras, che da mesi lavorava ai fianchi dei vertici. Al senato potrebbe nascere un gruppo con il marchio dell’Italia dei Valori in cui venne eletto uno degli espulsi, Elio Lannutti. Quel simbolo, necessario secondo il regolamento di Palazzo Madama per dare vita a un gruppo autonomi, oggi è in mano al segretario degli ex dipietristi, Ignazio Messina. Che ammette all’AdnKronos: «Ci sono stati contatti con alcuni parlamentari dissidenti del M5S. Mettere a disposizione il nostro simbolo per finalità meramente tecniche non ci appassiona. Ma se c’è un progetto politico nuovo partendo da idee e valori condivisi, da parte nostra c’è una collaborazione piena».
QUESTA IPOTESI continua a non interessare gli espulsi eccellenti Nicola Morra e Barbara Lezzi, che secondo alcuni retroscena agirebbero di sponda con Davide Casaleggio e vorrebbero entrare dalla porta principale del M5S candidandosi alla futura leadership collegiale composta da cinque persone. L’operazione è difficile ma non sarebbe impossibile se accettasse di essere della partita Alessandro Di Battista, atteso per oggi a una diretta Instagram. Nei giorni scorsi Di Battista ha tenuto alte le ragioni del no a Draghi ma anche mandato messaggi netti alla base, rifiutando di intestarsi qualsivoglia corrente interna e tanto meno progetti di scissione. Ieri ha smentito le indiscrezioni che lo vedrebbero alla testa degli espulsi per formare un suo partito di lotta: «Sarebbe come paragonarmi a Renzi, il che significa paragonarmi ad un vostro alleato di governo», dice rivolto ai pentastellati di governo. Ma con Matteo Salvini e Giorgia Meloni pronti ad accogliere i dissidenti più vicini alle posizioni sovraniste, non è detto che i grillini più scafati non guardino di buon occhio alla possibilità che l’ex deputato costituisca una formazione che finisca per fare da argine alla fuga verso destra. Magari in attesa che le acque ritornino più tranquille.
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