Neanche una parola, per ora, nemmeno un tweet. Enrico Letta annuncia le sue dimissioni dalla Camera, e Renzi non fa un plissé. L’ex presidente del consiglio ha annunciato, domenica sera nel corso del programma di RaiTre Che tempo che fa, che da settembre farà il rettore della scuola di affari internazionali dell’Università Sciences Politique di Parigi. Di più. L’ex premier, nel libro che uscirà domani nelle librerie (Andare insieme, andare lontano, Mondadori, il manifesto ne ha anticipato alcuni brani domenica), esprime senza troppe cerimonie la sua contrarietà al percorso di riforme del governo del successore, tutto incentrato sull’esecutivo e non sul parlamento: «Il governo deve accompagnare, scandire, anche velocizzare, mai imporre», scrive Letta, «e l’Italia ha già pagato pesantemente in passato la scelta dissennata – di centrodestra, ma anche di centrosinistra, per quanto riguarda il titolo V – di fare tra il 2001 e il 2006 riforme costituzionali e poi leggi elettorali a maggioranza semplice». Letta non anticipa quale sarà il suo voto sull’Italicum, ma la sua contrarietà alla riforma, o almeno al metodo con cui viene approvata, si somma a quella dell’ex segretario Pd Bersani, degli ex candidati segretari Cuperlo e Civati, dell’ex presidente del Pd Rosy Bindi, e cioè di figure che sono state istituzionalmente rappresentative del Pd dell’era pre-renziana. Cui vanno aggiunti i giudizi acidi dell’ex presidente del consiglio e fondatore dell’Ulivo Romano Prodi che in un altro libro anch’esso in libreria in questi giorni (Missione incompiuta, Laterza, una lunga intervista del giornalista dell’Espresso Marco Damilano), dichiara di preferire Letta a Renzi. Tutti «indizi che portano il Giornale a ipotizzare un «piano di ritorno alla battaglia» Letta-Prodi, che si preparerebbero un nuovo-vecchio giro di giostra nel caso di «inciampo» del governo Renzi sui suoi stessi scarsi risultati per l’economia del paese. Smentite sdegnate dall’ufficio stampa di Prodi.