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Letta presidenzialista d’elezione

Letta presidenzialista d’elezioneEnrico Letta e in primo piano Giorgio Napolitano – Eidon

Riforme "Mai più un capo dello stato scelto dal parlamento". Il presidente del Consiglio spinge per l'elezione diretta, rompendo come Prodi con la tradizione della sinistra democristiana e di Andreatta. Napolitano incalza: vigilerò contro l'inconcludenza

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 2 giugno 2013

«Non credo che sarà più possibile assegnare l’elezione del presidente della Repubblica a mille persone». Il presidente del Consiglio ha avuto bisogno di molto meno che 18 mesi, è già arrivato alle conclusioni in fatto di riforme costituzionali. Al termine della settimana in cui è stato appena avviato il percorso riformatore (non ancora della Costituzione, ma delle regole con le quali la Costituzione potrà essere cambiata), Enrico Letta è in grado di indicare il punto di arrivo. E cioè l’elezione diretta del presidente della Repubblica, nella formula francese del semipresidenzialismo. Posizione che in effetti è maggioritaria all’interno delle larghe intese. È un obiettivo storico della destra, anche se Berlusconi ha avuto i suoi tentennamenti, ed è ormai condiviso da buona parte del partito democratico. In ultimo anche da Romano Prodi.

Per la repubblica parlamentare la botta è stata doppia. Prima Prodi, che smentendo la sua passata cautela ha scritto sul Messaggero che «un forte accentramento di potere nelle mani del vincitore delle elezioni non solo non mi fa paura ma penso sia l’unica via di salvezza per il paese». Poi Letta, che pur avvertendo che «non spetta a me dire quale dovrà essere il modello per la riforma costituzionale», ha partecipato alla rottura di quello che per la sinistra cattolica è sempre stato un tabù: il presidenzialismo, o il semi presidenzialismo (la differenza principale è che nel secondo, come in Francia, il governo deve avere la fiducia anche del parlamento eletto con un voto diverso da quello necessario ad eleggere il presidente della Repubblica). In due giorni i due allievi più illustri di Beniamino Andreatta hanno rovesciato l’impostazione dell’economista di Trento (e ieri Letta parlava proprio dal festival dell’economia di Trento) che del presidenzialismo ha sempre messo in evidenza i pericoli – ne parlava come della «tentazione alla ricerca dell’uomo». Quella la linea della sinistra democristiana, la linea di Dossetti e di Leopoldo Elia, richiamata ieri sull’Unità da Rosy Bindi che questa volta non è d’accordo con Prodi. Lo smottamento è grande, tanto da superare in corsa le primo mosse di Franceschini (un altro ex popolare incamminatosi su un sentiero costituzionale opposto a quello di Mino Martinazzoli) o le ultime di Renzi, queste assai confuse visto che tengono insieme presidenzialismo e «sindaco d’Italia», schemi opposti che hanno in comune solo l’ansia dell’elezione diretta.
«La settimana vissuta a metà aprile per l’elezione del capo dello stato con le regole della Costituzione vigente – ha detto Enrico Letta – è stata drammatica per la nostra democrazia, la fatica è emersa lì». Il presidente del Consiglio ha così messo in carica alla Costituzione i problemi politici, in questo caso del suo partito, il Pd. Come se quello che è accaduto con Prodi e Marini e in fine Napolitano fosse responsabilità della Carta e non delle divisioni nel centrosinistra. Come se, al punto in cui era due mesi fa, il Pd non avrebbe combinato disastri con qualsiasi costituzione del mondo, e anche senza.

La spinta di Letta – che coincide con il lancio di una campagna per una legge costituzionale di iniziativa popolare per l’elezione diretta del presidente della Repubblica tenuta ieri a battesimo da Stefano Ceccanti, Giovanni Guzzetta, Angelo Panebianco e Stefania Craxi (con l’appoggio di Veltroni e del ministro Quagliariello) – è subito piaciuta agli esponenti del Pdl come Cicchitto, Gasparri e La Russa. Nel frattempo in occasione del 2 giugno è intervenuto con un video messaggio il presidente in carica, Giorgio Napolitano. Che ha confermato l’intenzione di non dare tregua ai partiti sul versante delle «più che mai necessarie» legge elettorale e riforme costituzionali. «Vigilerò – ha detto il capo dello stato – perché non si scivoli di nuovo verso opposte forzature e rigidità e verso l’inconcludenza».

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