Come nasce, oggi, una proposta politica? E con quali conseguenze? I giornali, i talk-show, le interviste e – buoni ultimi – i social media sono sempre più il luogo scelto per proposte politiche «d’impatto», sui temi più vari.  Silvio Berlusconi è stato il gran maestro del genere, dal palcoscenico di «Porta a Porta». Matteo Renzi è l’allievo più abile e spregiudicato. Giorgia Meloni e Matteo Salvini, oggi, sono gli interpreti più efficaci.

La proposta di Enrico Letta, relativa all’aumento della tassa di successione a beneficio della «dote per i diciottenni», nasce nel contesto di un’intervista a Massimo Gramellini, anticipata con un tweet «Su @7Corriere lancio proposta di dote per i diciottenni. Per la generazione più in crisi un aiuto concreto per studi, lavoro, casa. Per essere seri va finanziata non a debito (lo ripagherebbero loro) ma chiedendo all’1% più ricco del paese di pagarla con la tassa di successione».

POCHI GIORNI dopo, Letta è ospite del programma di Fabio Fazio, dove rilancia l’idea. La prima reazione è di Mario Draghi, che rimanda al mittente la proposta: «Non è questo il momento di prendere soldi ai cittadini ma di darli». Alla replica del Segretario Pd: «Draghi fa il Premier di una maggioranza eccezionale, io faccio il leader di un partito di sinistra. Questo intervento deve entrare in una riforma fiscale complessiva», segue colloquio «franco e cordiale» tra i due. Questo il canovaccio della rappresentazione.

IL CONTENUTO della proposta è stato poi variamente commentato sui media, vecchi e nuovi: chi la ritiene finalmente una proposta sinistra, chi la giudica troppo di sinistra, chi ne denuncia l’impianto neo-liberale che si affida all’auto-imprenditorialità, chi ne mette a nudo l’incertezza delle coperture, chi la bolla come inutile, velleitaria o dannosa.
Il binomio fiscalità-ricchezza è un tema-tabù, in realtà più per la classe politica che per la popolazione dal momento che un sondaggio SWG riporta che il 50% degli italiani è d’accordo con la proposta di aumentare il prelievo fiscale (per eredità e donazioni maggiori a 5 milioni), mentre la destinazione dei proventi a un fondo giovani desta maggiori perplessità (40% dei consensi).

LETTA NON È CERTO un ingenuo e, come fa da tempo, prova a riposizionare il Pd un po’ più a sinistra, su un tema delicatissimo. Non lo fa, però, dentro il partito o nel tessuto vivo della società. Neppure chiede al partito di farlo in Parlamento. Ma solleva il tema nella sfera mediatica, osserva il posizionamento degli avversari interni ed esterni e decide come proseguire. La sinistra Pd non pare critica verso questa (pre)tattica: per una volta che il Pd si posiziona sul terreno economico-sociale con nettezza per la redistribuzione, vale la pena sostenerlo. Ma, come detto, il modo conta. Anzi, fa la differenza. I media si nutrono di politicismo, osservano la realtà con le categorie della politica e ne adottano le categorie concettuali e i quadri di senso (sul tema con riferimenti ai giornali, si veda: L. Bobbio e F. Roncarolo (a cura di) I media e le politiche, Bologna, Il Mulino, 2015). Sono più interessati agli schieramenti che ai contenuti, alle alleanze che le proposte segnalano e ai confini che creano o spostano, più che al loro merito intrinseco.

Il politicismo ha importanti conseguenze. Anzitutto, sminuisce la trattazione delle politiche pubbliche e le subordina alla politica. L’analisi delle politiche, dei loro dettagli e implicazioni tecniche è così affidato alle dichiarazioni dei leader politici. Si lascia il palcoscenico ai politici generalisti, mentre gli esperti, anche se di parte, hanno pochissimo spazio: i discorsi di contenuto, quando ci sono, durano lo spazio di un mattino.

IL DIBATTITO PUBBLICO sulla proposta di Letta, infatti, si è affievolito in una settimana o poco più. Il cosiddetto «teatrino della politica» ha qui le sue radici: i media sono più realisti del re e filtrano la «notiziabilità» attraverso la logica amico/nemico. Letta sta giocando questa partita: sa che per fare spazio alle proposte le deve politicizzare, mostrandone la rilevanza nel gioco politico più generale. In questo caso, come in altri, marcando la distanza da Salvini («anche se siamo al Governo insieme, siamo diversi») e dalle correnti filo-renziane o centriste («io faccio il leader di un partito di sinistra»). In questo modo, però, i quadri generali prevalgono sul merito degli argomenti, le identificazioni emotive oscurano le riflessioni e il dibattito pubblico. Il rischio è quello di bruciare la proposta e di non lavorare, con metodo e pazienza, all’agenda politica per il post-Draghi.

Il vantaggio può essere quella di riuscire a portare la proposta dentro la negoziazione immediata, utilizzandola come testa di ponte. Ma la posta in gioco, in questo caso, è duplice: la riforma complessiva della fiscalità e il sostegno ai giovani. Aspetto, quest’ultimo, su cui Letta insiste da tempo.
L’esito della eventuale negoziazione con Mario Draghi potrebbe quindi finire con una rinuncia al primo per ottenere in cambio il secondo. Anche perché è sui giovani che Letta potrà avere più facilmente il consenso interno del partito, che ha da tempo rinunciato a fare della fiscalità un tema identitario. A prescindere dall’esito, un punto a sfavore della discussione pubblica a vantaggio della mediatizzazione della politica.