Letta cala l’asso Napolitano
Governo Il premier da Sochi: «La prossima settimana al Quirinale, poi il patto per il programma». Renzi: «Era ora»
Governo Il premier da Sochi: «La prossima settimana al Quirinale, poi il patto per il programma». Renzi: «Era ora»
Solo «24 ore di ossigenazione», dice. Il tempo di riprendere fiato e di farsi venire in mente un contropiede possibile. Da Sochi Enrico Letta dedica una battuta, in conferenza stampa, allo stallo del governo e poi ripete su twitter: «Lunedì, dopo avere consultato il capo dello Stato, prenderò una iniziativa per sbloccare la situazione e arrivare al nuovo patto sul programma», annuncia. E’ soprattutto con lo scudo del Quirinale, insomma, che il presidente del consiglio cerca ancora di proteggersi. L’unico o quasi di cui ancora dispone. Dopo l’affondo del presidente di Confindustria, Sergio Squinzi, che aspetta di vedere se Letta il 19 gli porterà qualcosa nella «bisaccia» (il premier starebbe lavorando a proposte sul taglio al costo del lavoro, sburocratizzazione, innovazione, lotta alla corruzione), ora anche Susanna Camusso scarica il governo: «Ha solo opposizioni, il che significa paralisi. Meglio che se ne vada».
Prova a resistere, Letta, e a giocare d’anticipo in vista dello showdown nella direzione del Pd fissata per il 20. Si mostra ottimista: «Ho giudicato positivamente la riunione dell’altro giorno, mi fido dei vertici del mio partito e credo che questa iniziativa che assumerò avrà effetti positivi». Ma il segretario, Matteo Renzi, al quale Letta dalle Olimpiadi invernali aveva anche indirizzato una stoccata – «lo sport non è un one man show, ma un gioco di squadra» – risponde ruvido: «Letta da Napolitano? Benissimo, era ora. Non ci rimane che aspettare».
La palla – o il cerino – torna insomma nel campo di palazzo Chigi. Ma se Letta ha in mente un rimpastino in salsa renziana (sarebbero quattro le caselle da cambiare, per evitare un vero e proprio bis), il sindaco-segretario lo stoppa subito: «Quando sento parlare di rimpasto, prendo e scappo e mi rinchiudo nelle cose concrete», taglia corto Renzi da Sassari dove partecipa a un’iniziativa elettorale a sostegno di Francesco Pigliaru.
Dalla segreteria del Pd, è poi Debora Serracchiani a twittare: «Ci sono un premier e un esecutivo: è ora che inizino a fare le cose che hanno detto di voler fare. Non è più rinviabile un salto di qualità». Altrimenti? L’ipotesi della staffetta non è esattamente accarezzata dal Quirinale. Anzi, allo stato non viene proprio presa in considerazione. «Continuità», è il messaggio che – in attesa dell’incontro con Letta che si terrà probabilmente martedì e al quale potrebbe farne seguito un secondo – scende ancora dal Colle. Quella continuità che chiederebbe anche l’Europa, secondo i sondaggi di Giorgio Napolitano. Significa anche chiudere al tentativo di un Letta bis, ritenuto ad altissimo rischio fallimento.
L’idea della staffetta è ora accantonata anche da Angelino Alfano: «Dodici mesi, per consentire di fare le cose necessarie, e subito dopo passare al voto», è il suo timing. Insomma, se Renzi rompesse alla fine gli indugi accettando l’ipotesi di trasferirsi a palazzo Chigi, qualora si concretizzasse in eventuali consultazioni (nei prossimi giorni tra l’altro per il governo si prevede una corsa ostacoli, con diversi decreti a rischio come il Destinazione Italia) non pensi di poter durare fino al 2018. Ammesso che, appunto, il segretario del Pd, dopo le sue numerose gag sul «governo con Giovanardi», metta davvero in conto un Renzi-Alfano-Giovanardi, appunto. Per Renzi la staffetta sarebbe solo l’ultima opzione in campo, insieme a quella di dare altri 8 mesi a Letta e il voto. Ma Alfano gli ributta la palla: «Spetti al Pd dire se crede in questo governo».
Crederci è una parola grossissima. Anche la minoranza chiede una scossa: Stefano Fassina, Alfredo D’Attorre, Enrico Gasbarra, Maurizio Martina, Danilo Leva e Cesare Damiano postano sull’Huffintong un ’Memo x il programma di un governo di svolta’. Ma «senza un pieno coinvolgimento del Pd – chiariscono – nessun governo nella legislatura in corso può andare avanti e avere la forza per incisive riforme. Dobbiamo scegliere».
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