«Alessio D’Amato è il candidato del Pd e ha la preferenza esplicita di Calenda». Con queste parole Bruno Astorre, segretario del Pd del Lazio, benedice la candidatura dell’assessore alla sanità di Nicola Zingaretti e di fatto chiude definitivamente ogni spiraglio per un accordo con il Movimento 5 Stelle. «Martedì ci sarà la direzione regionale e con la coalizione si deciderà se fare le primarie o meno», prosegue Astorre davanti al Teatro Brancaccio, dove D’Amato fa il bilancio dei suoi dieci anni da assessore: un evento che ha tutto il sapore di una convention pre-elettorale. C’è Carlo Calenda coi renziani Maria Elena Boschi e Luciano Nobili. Arrivano il vicepresidente della Regione dei tempi di Piero Marrazzo Esterino Montino con l’ex deputata Monica Cirinnà. Si presenta Marco Meloni, braccio destro di Enrico Letta, con il responsabile enti locali Francesco Boccia. Si aggira anche l’ex uomo macchina prima di Zingaretti e poi di Gualtieri Arturo Ruberti, in attesa di rientrare in pista. Qualche momento di tensione quanto una trentina di persone sedute in galleria si alzano in piedi, uno di loro tira fuori un megafono e contesta a D’Amato la poca predisposizione all’ascolto. Sono attivisti del Coordinamento regionale sanità e dei Blocchi precari metropolitani. Contestano il fatto che in questi anni il Lazio sia divenuta «la seconda Regione per peso del settore della sanità privata dopo la Lombardia».

«DO LA MIA disponibilità a candidarmi a partire dal mio partito e dall’intera coalizione del centrosinistra che l’ultima volta ha vinto le elezioni regionali», dice D’Amato confermando di voler ripartire dal centrosinistra senza M5S, entrato in maggioranza a legislatura iniziata. «D’Amato unisce il Pd, nella maniera più assoluta», dice Astorre. Ma la sua scelta, destinata a lasciare un segno nel campo dell’opposizione nazionale alla destra, assume un peso specifico ulteriore se si considera che nelle ultime ore, in maniera trasversale alle forze politiche della maggioranza che ha sostenuto Nicola Zingaretti, si stava lavorando alla candidatura dell’europarlamentare Massimiliano Smeriglio. Visto il suo profilo, pareva in grado di rimettere insieme i cocci del campo largo: ha una storia di sinistra, è stato il vice di Zingaretti per anni, ha un buon rapporto con le sinistre che hanno scelto di fiancheggiare il M5S (con Fassina ha sostenuto la lista Sinistra civica ecologista alle comunali romane) e con i rosso-verdi di Bonelli e Fratoianni. In più, è il ragionamento di chi ha provato a tessere la rete di Smeriglio, l’europarlamentare avrebbe potuto tenere un filo diretto con Conte, anche perché da tempi non sospetti si è schierato contro il termovalorizzatore pur restando nel perimetro della maggioranza di Gualtieri in consiglio comunale.

LAST BUT NOT LEAST: Smeriglio gode della stima anche di Carlo Calenda, che due giorni fa gli aveva espresso, tra il serio e il faceto, il suo appoggio. L’impressione è che la scelta di D’Amato sia dettata più da logiche nazionali che dalla reale volontà di battere la destra sul campo. Ancora fino a ieri mattina, infatti, dalle stanze del M5S laziale continuavano a ribadire che tutti gli esponenti della maggioranza uscente (5 Stelle compresi) avrebbero voluto ritrovare il modo di stringere ancora alleanza. «Al Nazareno hanno deciso di rinunciare all’unica possibilità di non regalare la regione alle destre» si fa sfuggire un dirigente locale dem, memore delle scelte divisive delle elezioni nazionali.

QUESTO RIAVVICINAMENTO a Calenda produrrà effetti in Lombardia? Sembra difficile, visto che il Pd ha già detto di non voler convergere su Letizia Moratti. Per il momento c’è da registrare il diniego di Giuliano Pisapia. Si va verso le primarie, da celebrare entro natale. L’europarlamentare Pierfrancesco Maiorino dovrebbe vedersela con il sindaco di Brescia Emilio Del Bono. Il quale ha firmato una nota insieme ad altri sei sindaci dem di capoluoghi lombardi per dire a Calenda, che «serve ripartire senza candidature predefinite sul tavolo».