Ventottenne, laureato in Geografia dello sviluppo e giornalista in erba, Jacopo Storni ha una missione da compiere: far conoscere al mondo le crudeltà e i massacri che l’esercito etiope compie nei confronti della popolazione somala musulmana dell’Ogaden, regione dell’Etiopia sud-orientale ricca di petrolio, che era autonoma e si estendeva da Nairobi alle rive del Mar Rosso prima del colonialismo inglese e italiano. Con questo sogno in tasca, si imbarca alla volta di Addis Abeba con l’incoscienza e l’irrequietezza un po’ sfrontata della sua età e la ferma volontà di raccontare di questa terra martoriata da anni di eccidi, di uomini strangolati, donne carbonizzate, violazioni dei diritti umani e crimini di stato. «Voglio cambiare il mondo e credo di poterlo fare così, improvvisando un’avventura dal sapore di eroismo. Col retrogusto di gloria. Vado allo sbaraglio ma ci vado con cognizione di causa. È pericoloso ma sono esaltato».

DA QUESTO GIOVANILE afflato di lotta all’ingiustizia e sogno dello scoop, prende le mosse Fratelli: viaggio al termine dell’Africa (Castelvecchi, pp. 244, euro 17,50) in cui l’autore rievoca, a dieci anni di distanza, la sua prima vera esperienza in Etiopia sulle orme di Burton e Kapuscinski (da cui ha imparato che il mondo si può raccontare soltanto calpestandolo e attraversandolo), esperienza che lo porta a toccare con mano una realtà cruda, seducente ma al tempo stesso spossante, e a cadere dapprima nel tranello da cui pur tenta costantemente di affrancarsi, quello di dipingere l’Africa della miseria e degli stereotipi, per sua ammessa incapacità di fare diversamente e di vedere altro. Addis Abeba lo accoglie spettrale di sera, tra caldo, foschia ed effluvi di vapori, imbottigliandolo nel traffico soffocante della città e in una valanga di auto: «Le luci fioche, i fari delle macchine che brillano umidi e appannati lungo sterrati dove si muovono fantasmi neri. Cunicoli di rifiuti, cavi elettrici, lamiere arrugginite, bazar affastellati».

TRA REPORTAGE, saggio e rielaborazione individuale, Storni rievoca il Derg, governo militare etiope in carica dal 1974 al 1987 retto da Mènghistu Hailé Mariàm, chiamato Terrore Rosso, che sterminò migliaia di oppositori politici, per poi immergersi nell’incubo tutto personale della prigionia di cui cade vittima (senza precise motivazioni) insieme al coetaneo traduttore locale Mohamed a pochi giorni dal suo arrivo in Ogaden. Nel preciso istante dell’arresto, e nei giorni di detenzione che ne seguono, la paura e il terrore di cui aveva solo letto si fanno concreti e tangibili sulla sua pelle, in quelli che lui definisce i momenti più duri e drammatici della sua vita. Da qui scaturirà l’amicizia fraterna con quel «compagno d’inferno» con cui dietro le sbarre al chiaro di luna si scambia confidenze, memorie d’infanzia e sogni futuri, e sulle cui tracce si metterà a dieci anni di distanza, ormai giornalista affermato nella sua Firenze.