L’etica e il mago Silvan
Il racconto Quando il mondo del lavoro cinese incontra un concetto talvolta assente nell'ex Celeste Impero
Il racconto Quando il mondo del lavoro cinese incontra un concetto talvolta assente nell'ex Celeste Impero
Come studiosa di una disciplina demodé come l’etica degli affari nelle sue molteplici espressioni, la mia esistenza in Cina è stata parecchio movimentata.
In un posto in cui ‘sei quello che fai’, e in cui tutti sembrano impegnati in progetti mirabolanti dai potenziali guadagni astronomici, il solo sentire pronunciare la parola ‘etica’- riferita al business poi – può indurre fastidiosi pruriti.
In fondo la Cina è stata fino a un passato molto recente, per molti imprenditori stranieri una terra di nessuno, dove il rispetto di regole minime di responsabilità verso l’ambiente e il prossimo, subiva un momentaneo blackout, da ripristinarsi sulla via d’uscita.
In tale contesto chiaro che il mio ambito di interesse risultasse quantomeno curioso ai più.
Nel corso degli anni quindi, una compatta rappresentanza di interlocutori internazionali e locali, ci ha tenuto a farmi sapere che nell’ordine: avevo sbagliato paese – detto con la mano a megafono nell’intenzione di essere più convincenti e di informarmi con tono rivelatorio che quello di cui mi occupavo “qui non esiste!”.
La cosa mi ha sempre divertito perché dimostrava una noncuranza della cultura cinese e di tomi di libri scritti sull’argomento, riguardanti le norme che, seppur difficili da comprendere agli occhi di noi occidentali, regolano la condotta nel mondo degli affari nel paese, riconducendola a un insieme coerente di comportamenti ammessi e pratiche vietate, e condensandola in un’etica vera e propria dalle caratteristiche cinesi.
Poi è arrivato il giorno in cui mi è stato proposto di fare da tramite tra questi due mondi, cercando di inserire un progetto fortemente connotato eticamente ad occidente in una cornice prettamente cinese. A chiedermi assistenza in questo esercizio di acrobazia cognitiva fu un ‘venture capitalist’ americano di origini israeliane, cosa che rendeva il tutto ancora più surreale e quindi imperdibile.
L’idea di partenza, come spesso accade, era ottima, e guidata da alcuni pilastri del buonismo filantropico tradizionale, mischiato a prospettive di business. Per l’imprenditore – un tipo perennemente agitato e paonazzo- si trattava di sfruttare due trend in grande crescita in Cina: lo shopping in rete e la filantropia. In breve il progetto puntava a creare una piattaforma di e-commerce che a ogni acquisto effettuato, destinava un margine a un’organizzazione non governativa di riferimento, attiva in qualche campo del sociale. Il mio compito era di individuare le cause benefiche cinesi da finanziare e dare una struttura coerente all’insieme, oltre a presentare il progetto al mercato come l’essenza del business responsabile.
Tutto è andato liscio fino a quando, come spesso accade in Cina, è spuntata dal nulla la figura salvica del ‘contatto importante’: quello che avrebbe dovuto oliare le relazioni e abbreviare i tempi di realizzazione del progetto grazie alle guanxi (le relazioni).
Nel nostro caso si trattava del ‘Dott. Hu’, un cinese stizzosetto con una pettinatura alla Mago Silvan che, oltre a ricoprire un numero impressionante di incarichi politici, era anche il CEO di una serie di aziende ospedaliere private che gestivano il sistema di assistenza privilegiata di cui godono i membri del Partito. Le premesse responsabili del progetto vacillavano, ma la magia del mago Silvan che sortiva dal cappello qualcosa come centinaia di migliaia di clienti facoltosi e ansiosi di comprare online qualsivoglia prodotto a marchio Usa per migliorare il proprio benessere, era irresistibile per il capitano di ventura, sempre più paonazzo.
In occasione del nostro unico incontro in una saletta del Capital Club – il primo circolo privato Pechinese, palcoscenico di negoziazioni milionarie e di virtuosi dei sigari cubani – il Dott. Hu, parlò a monosillabi. Tra una tirata sù di naso e l’altra, il burocrate col caschetto, rivoluzionò i pilastri del progetto, rispondendo per interposta persona al mio disperato tentativo di resistenza.
Fu quella un’incursione da manuale, prevedibile e allo stesso tempo irresistibile, nel corso della quale la proverbiale flessibilità cinese si espresse in tutta la sua potenza.
I propositi responsabili del progetto subirono una sterzata netta, i margini delle donazioni furono rielaborati al ribasso e le charity ammesse alle donazioni limitate alle sole Gongos, che pare uno scherzo ma esistono veramente in Cina e sono le ‘government organized non governamental organizations’.
Augurai ogni bene al capitano di ventura e lo lascia nelle mani del Dott. Hu.
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