Visioni

L’estate della fine dell’infanzia

L’estate della fine dell’infanzia

Al cinema Il film di Carla Simòn, il racconto di formazione di una bambina tra sfide, scoperte, lacrime

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 5 luglio 2018

L’estate del 1993 che dà il titolo al film è quella in cui la piccola Frida si trasferisce a vivere in casa degli zii, nella campagna catalana poco fuori Barcellona, al riparo dal caos della città ma al tempo stesso lontano dagli amati nonni e da quella che era stata la sua prima dimora.

 

La mamma è appena mancata, portata via da un virus (l’Aids mai menzionato) di cui in quegli anni ancora poco o niente si sa. Lo stesso che, presumibilmente, aveva consumato le difese immunitarie del padre qualche tempo prima. Imballate le ultime cose, stringendo forte una bambola a sé, la bambina osserva il trambusto nelle ore che sanciscono la fine della sua prima infanzia, mentre si lascia traghettare verso quella che sarà la sua nuova famiglia: il fratello della madre, sua moglie, la cuginetta, che da quel momento in poi sarà sua sorella.

Parla poco e osserva molto, Frida, ricci ribelli e due occhi furbi e malinconici al tempo stesso. Prima dell’inizio della scuola, in quel tempo sospeso che è l’estate, dovrà imparare a misurarsi con nuove regole, nuovi spazi, nuovi affetti. I suoi «capricci», le sfide, sono il suo atto di ribellione contro un destino ingiusto. Il sottile piacere che sembra provare nel creare più o meno inconsapevolmente piccoli e grandi conflitti, nasce da un’istintiva negazione, dall’inconscia volontà di non accettare il presente, di resistere, di mantenere vivo il passato. Eppure la vita va avanti. Deve per forza. Non è possibile opporsi.
L’esordiente Carla Simón, premiata ai Goya e a Berlino per la migliore opera prima, scelta per rappresentare la Spagna agli Oscar (senza entrare nella cinquina), costruisce un racconto di formazione pudico e doloroso che non cede mai al pietismo né al ricatto sentimentale.

La morte, la malattia, quel passato un po’ oscuro, sono sempre fuori campo, ricostruiti solo attraverso indizi sommari disseminati e colti qua e là nel quotidiano: sommesse parole bisbigliate dai grandi, qualche commento inopportuno, i momenti in cui Frida, truccata e «stanca», gioca a impersonare la madre. L’osservazione, l’ascolto, sono sempre ad altezza di bambino, con adesione totale al personaggio di Frida. Il suo pianto sconsolato e liberatorio proprio nel momento in cui comprende di essere «passata» a far parte di una nuova famiglia, quando versa lacrime disperate senza saperne il motivo, è il riflesso di un vuoto immenso che, nonostante tutto, non troverà mai consolazione. Alla fine capiremo perché

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