Col tempo i videogame si sono sempre più evoluti fino a raggiungere una qualità grafica simile al fotorealismo come dimostrano prodotti, non dissimili da una vera pellicola con attori, del calibro di Detroit: Become Human di David Cage, lo Spielberg del videogioco, Red Dead Redemption II dei ragazzi di Rockstar Games, gli stessi di GTA V, e l’incredibile Days Gone, il punto di non ritorno per gli open world horror. Giocare a uno di questi giochi vuol dire vivere un’esperienza di immersione a 360 gradi in storie scritte benissimo, colpi di scena ripetuti e naturalmente musiche emozionanti.
Eppure fin dagli albori del videogame, l’attenzione per la colonna sonora è stata fondamentale. Si pensi che uno dei primi openworld a tema western, Gun Fight, del lontano 1975, creato dallo stesso genio di Space Invaders, Tomohiro Nishikado, presentava una partitura, monofonica creata con un sintetizzatore, della Sonata n. 2 op. 35 Marcia Funebre di Frédéric Chopin. Con l’occhio smaliziato del videogiocatore del 2019 la cosa forse non sembrerà così incredibile, ma per un ragazzo degli anni Settanta, trovarsi davanti a un cabinato da bar, con la possibilità di muoversi con libertà, sparare nascondendosi in scenari bidimensionali, uccidere, prima volta nella storia degli arcade, un avversario umano (e non un mostro o un alieno), e soprattutto enfatizzare i duelli con la musica, era una goduria quasi fantascientifica. Ci si trovava, malgrado i rozzi sprite dei personaggi abbozzati, il monocromatismo degli ambienti e un gameplay semplicissimo, proiettati nel finale di Per qualche dollaro in più, Noi, Il colonnello, l’indio e il monco, mentre il suono di un carillon era pronto a dare il via alla danza di morte e proiettili. «Quando la musica finisce, spara… se ci riesci!». Bang e ovviamente game over.
Da quel 1975 la musica per videogame ha fatto passi evolutivi giganteschi: molti cantanti di successo hanno partecipato in maniera attiva alla creazione di alcuni tra i più emozionanti videogame, come nel caso dell’incredibile Omikron: The Nomad Soul del 1999 con David Bowie, ci sono state soundtrack capaci di scalare le classifiche di vendita al pari dell’ultimo pezzo di grido, segno che il videogioco si è evoluto da semplice opera scacciapensieri ad arte concettuale e creativa. Questo è un viaggio attraverso i compositori e i brani che più di ogni altro sono riusciti a rivoluzionare l’industria dei giochi.
I PIONIERI
Prendiamo un videogame come Knuckle Buster per Commodore 64, nel quale guidiamo un criminale in fuga da un laboratorio: noioso, con livelli insulsi e un gameplay ripetivo. Un disastro? Non proprio, a dire il vero, perché ha una colonna sonora fantastica, una rielaborazione a 8 byte delle classiche musiche alla John Carpenter, ansiogene e ritmate. Avvolto in quelle partiture, quasi dimentichi di stare perdendo tempo con un brutto titolo tanto da sentirlo sulla pelle il brivido dell’essere inseguito e a un passo dalla morte. Merito dell’inglese Rob Hubbard, classe 1955, un musicista con la passione per artisti classici e moderni come Mozart, Stravinsky, Ralph Vaughan Williams, John Williams, Jerry Goldsmith e Jean-Michel Jarre, ma che non riusciva a sfondare nel settore malgrado il talento. L’arrivo del Commodore 64 fu per lui amore a prima vista: studiò a fondo la macchina e il linguaggio del Basic riuscendo a compiere veri miracoli in campo musicale. Il processore musicale del C64, il Sid, aveva la sua più grande limitazione nell’avere solo tre canali da utilizzare, ma questo non valeva per i pezzi di Hubbard che, ascoltandoli, sembravano avere quattro, cinque o anche più strumenti in corso (Phantoms of the Asteroids a tutt’oggi lascia letteralmente a bocca aperta).
FUORI I BUG
Questo perché Hubbard imparò a sfruttare le caratteristiche del processore, elaborando un sofisticato metodo di rimodulazione che, moltiplicando due onde, andava a creare delle armoniche che arrivavano a frequenze molto più alte di quelle raggiungibili dal Sid. Fu inoltre il primo che sfruttò, a suo favore, dei bug del processore per ottenere nel tema principale di Skate or Die! dei sample di chitarra elettrica. Una cosa così incredibile da renderlo uno dei migliori compositori degli anni Ottanta per videogame, capace di riuscire a vendere opere anche orribili grazie solo alle sue colonne sonore eccezionali. I suoi pezzi erano davvero molto vari, si passava dal funky alle ballate al rock, si trattava di opere commerciabili e fruibili dalla massa ma dall’incredibile valore artistico, l’equivalente di un Big Mac creato da Andy Warhol. Con la fine degli 8 byte, Hubbard si spostò su console più moderne come l’Amiga, l’Atari St, l’Ibm Pc e il Sega Mega Drive, ma non riuscì mai più a ripetere la magia delle sue opere passate. Con l’avanzare della tecnologia era finita purtroppo anche la magia della sua creatività. La sua più grande rivoluzione fu quella di portare la filosofia della musica prog rock nei videogiochi, un’ambizione sublimata nel suo capolavoro, per assurdo proprio quel Knuckle Busters del 1986, orribile a giocarsi, che passò alla storia grazie a un’incredibile colonna sonora dalla durata record di quasi 17 minuti. La creatività e la complessità strutturale del brano, diviso in vari movimenti, lascia interdetti ancora oggi. Altro pioniere del Commodore 64 è senza dubbio Tim Follin, una delle grandi menti responsabili delle colonne sonore a 8 byte. Se una musica stratosferica per videogame non l’aveva creata Rob Hubbard, c’erano buone possibilità che fosse stato proprio Tim Follin a realizzarla.
UN DECENNIO
Incredibilmente prolifico per tutto il corso degli anni Ottanta, lo ricordiamo grazie ai suoi straordinari lavori per le versioni casalinghe di titoli importanti come Ghouls ’n Ghosts, il seguito del cult Ghosts ‘n Goblins, e Bionic Commando, entrambi Capcom. Molto abile nell’usare gli arpeggi e i synth del Sid, il nostro ha dimostrato di avere un talento eccezionale regalando al pubblico composizioni originali e indimenticabili. Follin ha sempre asserito, nelle varie interviste, che il suo genere preferito fosse il rock progressivo, ma ha anche ammesso di non ascoltare molta musica mentre lavorava alle sue composizioni: questo per non rischiare di plagiare nessuno. Non ha escluso però che alcuni gruppi, cantanti o compositori possano avere avuto in lui un’influenza casuale come nel caso di Quincy Jones, dei Jethro Tull, dei Led Zeppelin, di John Martyn, dei Deep Purple o dei Guns ‘n Roses.
Terzo membro della Santa Trinità del Commodore 64 è Martin Galway che ha probabilmente spinto il chip sonoro della macchina oltre i limiti consentiti. Indiscusso artista del «loader», la famigerata schermata di caricamento, Galway ha inanellato una serie infinita di capolavori, ma viene ricordato soprattutto per gli arrangiamenti di Rambo: First Blood Part II , adattamento della celebre pellicola con Stallone, e del fantascientifico Parallax. Quest’ultima è forse una delle poche colonne sonore capaci di rivaleggiare con le visioni sonore di Rob Hubbard.
Come per Knuckle Busters, si trattava di una composizione mastodontica di oltre 10 minuti, ispirata alle opere prog, in grado di unire l’elettronica con la musica classica, ma non solo. Nel brano accade veramente di tutto, tra vorticosi giri di basso e atmosfere allucinate, quasi impossibile staccarsi dal menu principale per passare al gioco vero e proprio.D’altronde per citare gli Articolo 31, in una delle loro canzoni meno celebri ma non disprezzabili, Commodore 64 vs PC (2003): «Col Commodore 64 ora ci giocano gli dei/E il Commodore 64 si è inculato anche la play/Sì, anche la play, anche lei/Sembrava non potere fare niente/con 39 kbytes per l’utente/Invece ne hanno fatti a milioni/Sparatutto, avventure, platform e simulazioni/Un solo chip sonoro/ma lo potevi anche suonare/E poco prima di morire/iniziava anche a parlare». Questo grazie anche, e soprattutto, a Rob Hubbard, Tim Follin e Martin Galway.
INCUBI E ORRORI
Pochi giochi risultano immersivi come Silent Hill, opera made in Konami, che vide la sua nascita nel 1999. Se il diretto concorrente, Resident Evil della Capcom, ci riportava a un orrore più fisico, splatter e debitore degli incubi cinematografici di George A. Romero, questo lavoro invece ci calava, dritti dritti, in un incubo onirico, figlio della letteratura di Lovecraft e degli isterismi di David Lynch.
Il primo capitolo vedeva un padre alla ricerca della figlia in una cittadina che, complice una nebbia, riportava in questa dimensione una realtà parallela di dolore e morte. È però con Silent Hill 2 che la storia si fa ancora più complessa: un uomo riceve una lettera dalla sua ex moglie («Ritroviamoci nel nostro luogo felice»), solo che, piccolo problema, la donna è morta da anni. In una cittadina che diventa un girone dell’inferno dove i peccatori si ritrovano faccia a faccia con le proprie colpe, inizia una struggente storia d’amore e perdita resa ancora più coinvolgente dalle partiture di Akira Yamaoka. È qui che ascoltiamo un bizzarro incontro tra musica elettronica, perlopiù ambientale, e pop rock, con azzardate incursioni nel trip hop e l’industrial.
Se il primo Silent Hill era soprattutto un omaggio ad Angelo Badalamenti e alla sua soundtrack per Twin Peaks, nel seguito si guarda a Trent Reznor negli estratti terrificanti e disumani, talmente intensi da sublimare per assurdo i momenti maggiormente intimi e melodici. Una tecnica che il nostro cinema ha proposto spesso al contrario (canzone melodica su scene brutali) in capolavori del cinema popolare come Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci, autore omaggiato dalla stessa Konami in una sequenza del primo Silent Hill. Dopo il secondo capitolo, questa saga horror comincerà a non riscontrare più i favori del pubblico fino a terminare la sua corsa di orrori e peccati con il discontinuo ma interessante Downpour, pietra tombale per la serie. Resta però, come testimonianza immortale della sua grandezza artistica, il lavoro di Akira Yamaoka, melodie così stupende da avere potenza anche al di fuori del videogame.
IDRAULICO ITALIANO
Quanti bambini sono impazziti negli anni per le gesta di Super Mario, un simpatico idraulico col vizio di mangiare funghi, saltare su povere tartarughe e salvare principesse in pericolo? Un’infinità se si conta che Super Mario Bros del 1986 ha venduto oltre 40 milioni di copie e creato seguiti, cloni, versioni femminili e persino un film! Merito del suo successo lo si deve anche la colonna sonora di Koji Kondo, autore di un altro capolavoro made in Nintendo, Legend of Zelda. Il tema caraibico di Mario è senza dubbio storia, non solo del videogioco ma dell’arte: semplice e geniale ha un ritmo di musica calypso, entra in testa e non esce facilmente, fu composta con una piccola tastiera e aumenta di velocità mentre il tempo di gioco impietosamente si avvicina al game over. Per alcuni è il brano più iconico di tutta la storia dei videogame, facilmente riconoscibile anche da chi non è appassionato del media.
Michiru Yamane ha sviluppato un interesse per la musica in tenera età, esercitandosi sull’organo elettrico e sul piano, strumento nel quale eccelle. A differenza di molti suoi colleghi lei nasce come musicista e, in un secondo momento, compone brani per i videogiochi. Il suo talento emerge soprattutto grazie ai giochi della serie Castlevania, i capitoli Bloodlines (1994) e Symphony of the Night (1997). Il suo stile inconfondibile unisce profonde influenze classiche e jazz (Bach una delle sue ispirazioni) con un’anima gotica, oscura e affascinante, una combinazione assolutamente perfetta per questa saga di vampiri. I suoi fan la apprezzano anche per il suo grande eclettismo, testimoniato da curiose incursioni persino nel trash metal: in Symphony of the Night poi, nei suoi 34 brani, c’è una varietà di generi musicali, dalla techno al rock gotico fino al jazz.
Yamane non è l’unica donna però a comporre brani per i videogiochi. Come lei anche Miki Higashino ha creato una delle migliori soundtrack per videogame di sempre, quella del Gdr Suikoden 2. Da citare anche Yoko Shimomura, anche lei pianista, e definita dalla celebre rivista Rolling Stone «il corrispettivo femminile di Ennio Morricone».
Tra le sue opere più famose, la ricordiamo per la struggente colonna sonora dell’horror Parasite Eve che mixa musica da opera (nella celebre sequenza di massacro in un concerto lirico) con elementi dance. Considerando che è uno dei suoi primi lavori, stupisce per la complessità e maturità della composizione.
AVVENTURA FANTASY
«L’ispirazione mi viene di più portando il cane a spasso che ascoltando la musica alla radio». (Nobuo Uematsu)
Nobuo Uematsu è un maestro della musica per videogiochi: dal 1987 il suo lavoro è legato soprattutto alla saga di Final Fantasy, serie alla quale ha donato le sue composizioni più ispirate. Proprio alla serie Square Enix il musicista giapponese ha consegnato i suoi massimi capolavori, ovverosia le colonne sonore di Final Fantasy VI, del celebre Final Fantasy VII e di Final Fantasy VIII. Spesso prende ispirazione dai grandi maestri della musica classica, elettronica e prog, tra i quali si riconosce soprattutto un’influenza verso il tastierista inglese Keith Emerson. La fama delle sue composizioni si deve, oltre alla sua indiscutibile qualità tecnica, anche per la varietà del suo stile. Uematsu passa poliedricamente dal classico al metal senza disdegnare la musica techno o il jazz. Caratteristica poi dei lavori dell’artista è la conoscenza approfondita delle sceneggiature dei giochi ai quali lavora, tecnica molte volte snobbata dai suoi colleghi, ma che, nel suo caso, riesce a sublimare l’esperienza del gameplay. Considerato il John Williams dei videogiochi, Nobuo Uematsu ha avuto un impatto sulla cultura popolare molto imponente, al punto che il suo brano Liberi fatali ha accompagnato la gara femminile di nuoto sincronizzato durante le Olimpiadi estive del 2004.
Può una sola colonna sonora entrare nella classifica delle migliori mai ascoltate e di conseguenza il suo autore? Sì se contiamo che Marty O’Donnell sarà famoso nell’eternità soprattutto per il suo apporto alla musica del primo Halo, grazie a pezzi iconici stampati a fuoco nella mente di tutti i videogiocatori.
Lo stesso si potrebbe dire di Nathan Whitehead, compositore per il cinema dei primi tre capitoli de La notte del giudizio (The Purge), e, per il mondo dei videogames, della recente, straordinaria soundtrack di Days Gone, horror a base di zombi uscito per PS4. È soprattutto in quest’opera recente che il rapporto tra la musica e il gameplay diventa indissolubile e complementare, un viaggio emotivo ed emozionante come pochi altri.
MAESTOSI SCENARI
Racconta lo stesso Nathan Whitehead della genesi del suo lavoro: «Per comporre le musiche di Days Gone, ho tratto ispirazione dai maestosi scenari dell’High Desert, nel Nord-ovest Pacifico, scelti da Bend Studio per ambientare il gioco. Questa regione offre bellezze naturali straordinarie, tra foreste, montagne e cascate. Di contrasto, il terreno vulcanico può dare origine a zone più aspre, caratterizzate dalla vegetazione rada, in cui i resti delle strutture umane sono abbandonati alla pioggia, alla neve e al caldo. Durante lo sviluppo di Days Gone, Bend Studio ha impostato una direzione artistica molto raffinata, con richiami al periodo della frontiera americana. Per questo, invece di optare per una partitura ispirata a Deacon e al suo passato da motociclista, con l’uso di chitarre elettriche o brani rock classici, ho voluto percorrere un’altra strada: creare un legame tra il giocatore e lo scenario, per immergerlo nel mondo di gioco insieme a Deacon stesso. L’ambientazione, nello specifico, mi ha ispirato una colonna sonora di genere folk Americana, in grado di far risaltare queste qualità».
E con Days Gone termina questo viaggio che, come i videogame dei quali abbiamo parlato, acquista ancora più valore se ascoltato con una colonna sonora abbinata. A voi la scelta tra un Mario impazzito al ritmo di un ballo caraibico o a un Castlevania dal ritmo rock più scatenato oppure, ancora, una canzone, magari qui non presente ma che comunque ha segnato indissolubilmente il vostro percorso di gamer.