ExtraTerrestre

L’esotismo dei rifugi di montagna per sfuggire al Covid-19

Il rifugio Quinto Alpini in Alta ValtellinaIl rifugio Quinto Alpini in Alta Valtellina

Alternative I rifugisti sono i custodi dei nostri monti, ma quest’estate rischiano di non lavorare. Abbiamo sentito alcuni di loro

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 7 maggio 2020

Annibale Salsa, tra i principali antropologi alpini contemporanei, già Presidente del Cai, lo definisce «esotismo di prossimità». È quel fenomeno per cui chi vive in città, dopo mesi di reclusione, volge lo sguardo all’insù e vede le valli dell’Appennino e delle Alpi come mete esotiche. E quando finalmente potrà uscire di casa se Dio vuole, o meglio, se la coscienza civica di tutti noi lo permetterà, sicuramente troverà nella frequentazione delle terre alte un’occasione formidabile per scoprire “luoghi autentici”. E chi troverà ad attenderlo? I rifugisti naturalmente, i gestori di tutte quelle piccole realtà spesso a conduzione familiare di cui la montagna italiana è disseminata, pronti ad accogliere l’ospite e ad accompagnarlo alla scoperta del territorio. Sono loro i veri “custodi della montagna”, le persone che vivono le realtà locali per buona parte dell’anno e che hanno imparato a fare economia in armonia con paesaggio e territorio. Sempre tra mille difficoltà, ultimamente anche quella del Coronavirus, cercano di reagire desiderosi di poter accogliere quest’estate quante più persone possibili, sempre in sicurezza naturalmente, per alleviarle i cittadini dalla calicola estiva che ogni anno si fa più insopportabile.

Ma all’improvviso i giornali titolano «un’estate senza rifugi», gettando nello sconforto tutto l’indotto, a partire dal Cai nazionale, padrone di tante strutture in quota, fino ad arrivare ai singoli imprenditori, passando per amministrazioni comunali, Parchi e aree protette, associazioni. E il dibattito ha preso quota, con tanto di specialisti, immancabili virologhi e opinionisti non sempre ben informati. Ma cosa ne pensano i diretti interessati, cioè i gestori dei rifugi di montagna? Riusciranno a mettere in sicurezza le loro strutture per accogliere l’attesa ondata di “turismo di prossimità” che quest’estate risalirà le pendici della montagne?
Lo abbiamo chiesto ad alcuni di loro, e questo è il risultato.

«Sicuramente quest’anno dal punto di vista economico qualcuno si farà male – spiega Guido Rocci, neo Presidente dell’Agrap, Associazione rifugi del Piemonte, e gestore del posto Tappa Les Montagnards di Balme, nelle valli di Lanzo – Ma i nostri locali sono dei presidi della montagna e non possiamo sottrarci dall’apertura. Il primo di giugno riapriremo il ristorante, mentre per l’albergo non sappiamo ancora quando, attendiamo indicazioni, ma stiamo cercando di farci trovare preparati». Il paradosso è che quest’estate ci saranno molte più persone in montagna, mentre per mantenerla in sicurezza ce ne vorrebbero meno. Rocci non nasconde la preoccupazione per il possibile “liberi tutti” perché, spiega «il turismo di massa in montagna non è sostenibile in tempi normali, con il Coronavirus ancor di meno, perché è vero che le montagne oggi sono sane, ma se i comportamenti non saranno responsabili in un attimo si infetteranno, e ne faremo le spese tutti, comprese le comunità locali. Fino a ieri i gestori avevano dei doveri e gli ospiti solo diritti. Da oggi anche gli ospiti avranno il dovere di comportarsi in modo responsabile».
Anche Mario Sorbino, del Rifugio Geat Val Gravio, in Val di Susa, sottolinea il bisogno di responsabilità da parte degli ospiti: «il turismo di prossimità sarà sicuramente un vantaggio per tutti noi, ma ci aspettiamo un vero e proprio assalto nei weekend estivi, e bisognerà pensare al mantenimento dell’ordine, magari con l’aiuto dei volontari Cai. Noi sicuramente cercheremo di mettere a disposizione tavoli all’esterno del rifugio, con coperture adeguate in modo da riparare gli ospiti dal sole e dai temporali». E sottolinea la rinnovata unità con i colleghi per il superamento dell’emergenza. «Non si tornerà indietro, la gente avrà piacere di mantenere la distanza sociale e molte cose cambieranno, noi rifugisti rivendichiamo la partecipazione nelle decisioni che ci coinvolgono. Per questo motivo ho firmato con i colleghi una lettera inviata alle autorità competenti». Effettivamente chi meglio di loro sa di cosa ha bisogno oggi l’accoglienza in montagna?

«In questo momento di estrema incertezza, mentre non sappiamo ancora quando e come riapriremo, dobbiamo essere uniti come non mai – spiega Bruno Morella, del Rifugio Meira Paula, in Valle Varaita – e cercare di cogliere le novità positive. I rifugi sono nati in un periodo in cui solo la ricca borghesia poteva permettersi i soggiorni in quota, poi è arrivata la stagione dell’alpinismo popolare con le camerate, oggi non è più così, già da tempo gli ospiti preferiscono le camere singole con bagno, e questa è la direzione di evoluzione dei rifugi. Dobbiamo pensare a misure messe in atto non solo per affrontare il momento di emergenza ma anche i cambiamenti futuri»

Anche Silvia Balocco, del Rifugio Quintino Sella, ai piedi del Monviso, è dello stesso parere: «faremo di tutto per aprire, perché è la nostra vita, e accogliere il turismo di prossimità può diventare una sfida. La montagna non può essere vista come alternativa alla spiaggia (con le sue ammucchiate, ndr), ma per noi è l’opportunità per cambiare qualcosa».

Riccardo Novo, Presidente della Compagnie des refuges Clarée Thabor e gestore del Rifugio Terzo Alpini, situato in Valle Stretta, nel comune francese di Névache, non ha dubbi: «apriremo sicuramente dando l’opportunità agli ospiti di montare la tenda intorno al rifugio. Quest’anno lavoreremo mia moglie, i miei figli ed io, lasciando a casa purtroppo il personale stagionale».

Stay tuned, in attesa che le autorità italiane e francesi si pronunci sul futuro del turismo alpino entro il mese di maggio.

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