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L’esordio di Kwon, sul labile confine tra fede e ossessione

L’esordio di Kwon, sul labile confine  tra fede e ossessioneSonja Braas, Burning oil , 2004

Scrittori émigré Americana nata in Corea del sud, l'autrice degli "Incendiari" investe in una prosa inesoraboilmente asciutta, che ha riletto registrandosi e riascoltane il suono, sillaba dopo sillaba: da Einaudi

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 15 marzo 2020

Incendiario è chi appicca il fuoco a scopi criminali o per impulso piromane, ma anche chi riesce a infiammare gli animi incitando alla rivolta e alimentando passioni spesso violente in nome di ideali superiori. Azzeccatissimo titolo, Gli incendiari è il romanzo di esordio di R. O. Kwon (traduzione di Giulia Boringhieri, Einaudi, pp. 208, € 18,50) una miscela altamente infiammabile degli impulsi esplosivi che si agitano sotto la superficie di vite all’apparenza privilegiate. Il giovane e diligente Will frequenta un college esclusivo nell’Upstate New York, ma è deciso a tenere celate le proprie umili origini e per mantenersi è costretto a lavorare di nascosto in un ristorante; in fuga da una famiglia problematica e da un passato di fervente evangelico – «andavo di casa in casa a vendere Gesù: ero un fanatico e fiero di esserlo» – da quando ha perso la fede si sente «dilaniato, con un buco a forma di Dio che non so come riempire». Non a caso, quindi, si innamora a prima vista di Phoebe, ragazza affascinante, intelligente e disinvolta che frequenta le feste più chiassose ma che sotto la patina di spensieratezza convive con un bruciante senso di colpa legato alla morte della madre.

Il terzo intruso
Phoebe ha rinunciato al sogno di diventare pianista quando ha scoperto «che era meglio non avere affatto talento, anziché abbastanza da rendermi conto di quanto me ne mancava»: in Will ritrova finalmente il «mondo di nobili sentimenti …ordinato, tranquillo» che sembrava perduto per sempre. Tra i due amanti si insinua la figura elusiva e inquietante di John Leal, predicatore scalzo che racconta di aver subito torture in un carcere nordcoreano; Will lo considera «un fanatico cristiano fricchettone da quattro soldi con pose da francescano», ma quando Phoebe comincerà a partecipare alle riunioni del Jejah, la setta fondata da Leal «in onore della sua nuova vita dopo il gulag», sarà costretto a ricredersi.

Tutti e tre i protagonisti del romanzo alimentano a vicenda, e in modo distruttivo, il fuoco delle loro passioni, confrontandosi con interrogativi oggi più che mai cruciali: quand’è che l’amore volge in ossessione, la passione da creativa diventa (auto)distruttiva, la devozione religiosa sfocia nel fondamentalismo e nella follia terroristica? Nata in Corea del Sud nel 1983 e cresciuta a Los Angeles, Kwon ha affermato di non pensare a questo confine come a una netta linea di demarcazione: per descrivere i motivi che a diciassette anni l’hanno spinta verso l’ateismo, in un’intervista ha usato parole molto simili a quelle pronunciate da Will nel romanzo: «Sai come dicono quelli che fanno bancarotta, no? È una cosa graduale, ma quando arriva, arriva di botto». L’idea per Gli incendiari nasce proprio da questa esperienza: «Volevo scrivere cosa significasse cadere fuori dalla religione, ma in realtà volevo anche scrivere cosa significasse cadere dentro la religione. Speravo di rappresentare entrambi gli aspetti: la perdita e la gioia».

L’estrema accuratezza del linguaggio impiegato nel romanzo – asciutto, rarefatto, in alcuni passi quasi cauterizzato – è frutto di un lavoro durato ben dieci anni, i primi due dedicati soprattutto alla rifinitura delle venti pagine iniziali.
Per riuscire a mantenere la giusta distanza dal testo durante le lunghe fasi di stesura, Kwon ha adottato una serie di strategie, per esempio cambiare spesso dimensioni, colore e tipo di font al manoscritto (a suo dire il Garamond è troppo elegante e nasconde i difetti della scrittura), o usare un programma che simula al computer il rumore dei tasti di una macchina da scrivere, bloccando anche la connessione Internet per evitare qualsiasi distrazione.

Cambia il punto di vista
Inoltre, allo scopo di perfezionare al massimo il ritmo, il suono e la sintassi di ogni frase, ha trascorso del tempo ascoltando registrazioni di se stessa che leggeva brani del testo, così da poter cogliere appieno, e se necessario modificare, il suono di ogni sillaba. Il risultato è uno scorrere della narrazione con spietata inesorabilità, come se una scintilla consumasse rapidamente la miccia accesa dai tre personaggi, fino all’inevitabile denouement, l’esplosione prefigurata nell’incipit.

All’inizio, il punto di vista doveva essere quello di Phoebe, ma la scelta vincente è stata rendere Will la voce narrante: è lui lo storyteller ideale, l’archeologo che rimesta tra le ceneri ancora ardenti del proprio amore e tra quelle ormai sopite della fede provando a rimettere insieme i brandelli di identità deflagrate, riordinando la cronologia degli avvenimenti per cercarvi un senso, seppur arbitrario e parziale.

L’originalità degli Incendiari, infatti, non risiede tanto nella trama (altri scrittori americani hanno raccontato con maggior efficacia i risvolti sociali, psicologici ed emotivi del terrorismo, da Don DeLillo in Mao II a Philip Roth in Pastorale americana), quanto nella peculiare struttura narrativa, frutto di un abile ventriloquismo autoriale: ogni capitolo del romanzo è centrato di volta in volta su uno dei tre personaggi, ma il narratore, nel tentativo di comprendere le motivazioni dei loro gesti, lascia spesso parlare gli altri due con la loro voce – o meglio, con la voce che attribuisce loro – così che il lettore tende inconsapevolmente ad adottare il suo punto di vista, per quanto limitato o fazioso. Se nelle parti dedicate a Phoebe si avverte una certa reticenza, dettata dai sentimenti che Will prova per lei, i brani centrati su Leal si fanno via via più brevi, folli e insensati, fino ad apparire incomprensibili.

Nessun evento scatenante
«Non puoi spegnere un Fuoco», scriveva Emily Dickinson: «Una Cosa che incendia / Può andare, da sé, senza un Soffio – / Nella notte più mite». Le vicende degli Incendiari dimostrano come non sia facile identificare cosa alimenta la fiamma che arde né cosa la spenga – non esiste, nel romanzo, un evento scatenante e forse nemmeno un punto di non ritorno; piuttosto, quel che si rende evidente è che quando ci si ritrova in un vuoto esistenziale si diventa fragili, influenzabili e perciò stesso «altamente infiammabili».

Il pragmatico Will ha un disperato bisogno di risalire a una scintilla scatenante che non riesce a isolare, e solo alla fine sembra rendersi conto che il combustibile più pericoloso è proprio l’immaginazione: come egli stesso ammette nelle ultime pagine rivolgendosi idealmente all’amata perduta: «Se non riesco a immaginarti ardere del Suo fuoco, può darsi che quello limitato sia io, non tu».

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