L’esistenza è solo una forma di fiction
Jamaica Kincaid Un’intervista con la docente americana Daryl Dance intorno ai temi della scrittrice antiguo-barbudana. Autrice della diaspora africana, rifiuta separazioni tra il genere storico, autobiografico o mitologico. La sua scrittura è un modello di accoglienza della voce dell’altra, che si sostanzia in quella della madre
Jamaica Kincaid Un’intervista con la docente americana Daryl Dance intorno ai temi della scrittrice antiguo-barbudana. Autrice della diaspora africana, rifiuta separazioni tra il genere storico, autobiografico o mitologico. La sua scrittura è un modello di accoglienza della voce dell’altra, che si sostanzia in quella della madre
Il giardino di Jamaica Kincaid è il luogo immaginario che parte dai Caraibi in direzione della Nuova Inghilterra. È il luogo che narra la coesistenza e lo sradicamento: si possono trovare sia le piante autoctone, sia le erbe medicinali conservate dagli schiavi deportati, sia le giunchiglie cantate da Wordsworth.
A Parigi, nelle due sedi dell’Università di Paris 8 e della Sorbonne, ha avuto luogo un convegno internazionale incentrato sulla scrittrice di origine antiguo-barbudana con nazionalità statunitense: il comitato organizzatore – composto da Corinne Bigot, Andrée-Anne-Kekeh-Dika, Nadia Setti e Kerry-Jane Wallart – ha scelto di intitolare il simposio L’art de la greffe dans l’œuvre de Jamaica Kincaid, sviluppando le tante configurazioni della tematica dell’«innesto» come variante simbolica della letteratura dell’autrice e della letteratura postcoloniale. Ed è proprio la metafora botanica a condurci in direzione dell’universo simbolico di Edouard Glissant e di quello di Gilles Deleuze e
Félix Guattari, declinati nella specificità della scrittrice. L’incontro ha poi districato inoltre la questione dell’instabilità dello statuto del genere letterario unico e quella della possibilità di innesto fra i generi – la possibilità che il racconto diventi anche documento e viceversa.
Daryl Dance, professoressa emerita alla Richmond University nello stato del Vermont, dettaglia in merito alle questioni della relazione tra la narrazione autobiografica e la questione identitaria e riguardo la plurisignificanza della figura materna, intesa come madre biologica e simbolica.
Jamaica Kincaid ha dichiarato: «I myself am a fiction». Può provare a spiegarci cosa intendeva l’autrice?
Mi piace ricordare una risposta che la scrittrice diede nel corso di una intervista. Quando le venne chiesto quanta parte della sua produzione fosse autobiografica rispose: «All of it, even the puntuaction». Ha ribadito poi, a più riprese, di non sapere come fosse possibile scrivere altrimenti, insistendo sul fatto che la propria scrittura nascesse dal racconto delle vicende familiari. Io credo che Jamaica Kincaid ami acquisire nuove identità, proiettarsi in altre identità tramite la scrittura. Le sue storie le possiamo comunque definire finzione. Tuttavia la questione è più complessa di quanto possa apparire, almeno quanto è complicato l’autobiografismo letterario.
In che modo l’autobiografismo dell’autrice riesce a rapportarsi alla questione dell’identità e della diaspora?
La tematica identitaria legata alla diaspora afro-caraibica rappresenta un importante fattore di influenza sociale e culturale, sia sui paesi d’origine sia su quelli di destinazione. In questo contesto, si inserisce inoltre la questione della costruzione di un’identità postcoloniale. Il senso di appartenza e di alienazione che derivano costituiscono un aspetto cruciale della dinamica che risiede nella scrittura di Jamaica Kincaid: ad esempio, il suo trasferimento negli States viene associato a un radicale e alienante cambiamento dello stile di vita della scrittrice. E il suo speciale autobiografismo è intrecciato con il mito e la storia: non deve essere interpretato come il solo frutto del racconto della propria esistenza, ma come una sorta di ramificazione di tale esistenza, inserita nel contesto e nel panorama della letteratura dell’esilio.
Nel suo libro «In Search of Annie Drew» (2016) lei prova a spiegare come l’intera produzione letteraria di Kincaid sia caratterizzata dall’autobiografismo. In che modo è declinato questo genere?
Jamaica Kincaid concepisce la sua esistenza letteraria come un intreccio rispetto alla vita della madre, la storia che deriva dalla tradizione orale, il mito e la grande storia tramandata dal sistema coloniale. E tale intreccio le consente di dire: «Non sto parlando di mia madre, sto parlando della madre patria!». Come molte scrittrici e scrittori della diaspora africana, Kincaid rifiuta la separazione assoluta tra il genere storico, biografico, autobiografico o mitologico.
La sua scrittura autobiografica è costituita da una frammentazione del sé nei diversi io dei suoi romanzi; essi sono i rappresentanti di una porzione del sé dell’autrice, dall’infanzia fino alla maturità (come nell’ultimo romanzo Vedi adesso allora, edito da Adelphi nel 2014; pp. 161, euro 16,50). Tale dispersione consente la creazione di un io autoriale molteplice, derivante dall’intersezione di più voci: quella propria moltiplicata e le voci provenienti dalle fonti esterne di una dimensione storica collettiva. Si tratta in qualche modo di considerare la produzione di Kincaid come qualcosa di seriale: se non proprio come la scrittura di uno stesso romanzo ripetuto, sicuramente come una autobiografia senza fine alla quale Kincaid continua ad aggiungere volumi. È tale serialità a consentire alla scrittrice di prendere differenti vie per autorappresentarsi, per esplorare più soluzioni al problema della rappresentazione identitaria.
La figura della madre nell’immaginario di Kincaid ha una forte ambivalenza…
La grande protagonista dei libri di Jamaica Kincaid è sempre Annie Drew, sua madre. Attraverso il mio libro ho cercato di fare un ritratto documentato di questa figura così presente nella letteratura della scrittrice.
Da un lato, ho cercato di spiegare il desiderio del riconoscimento materno, dall’altro la frustrazione per un difficile rispecchiamento. Kincaid manifesta un costante desiderio di approvazione materna: penso a quando sua madre l’aveva lasciata andare al negozio per la prima volta, di come si era preparata e di quando sua madre, al suo ritorno, le aveva detto di essere orgogliosa di lei. Io credo che Jamaica cerchi ancora quel tipo di riconoscimento….Ho provato a spiegare in che modo la sua scrittura rappresenti un modello di accoglienza della voce dell’altra, che si sostanzia in quella della madre (nei racconti della stessa, diventati per Kincaid parte del materiale romanzesco). Ho provato a discernere l’ambivalenza di tale accoglienza, che risiede nella continua messa in dubbio dei ricordi provenienti dalla madre, dei ricordi a lei associati e di quelli comuni a madre e figlia.
Tutte queste memorie si declinano infatti in maniera differente. L’ambivalenza tra la storia ufficiale e il riconoscimento della tradizione orale di matrice caraibica rappresenta una delle questioni fondamentali della letteratura postcoloniale.
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