L’esercito delle bad girls
EverTeen Una graphic novel per raccontare le vite delle "Cattive ragazze"
EverTeen Una graphic novel per raccontare le vite delle "Cattive ragazze"
Figlia di un macellaio per convenzione ma in realtà erede clandestina di un tenebroso poeta, Olympe de Gouges, secondo i suoi detrattori era «affetta da isteria rivoluzionaria». Lei non si perse d’animo: cavalcò i nuovi fermenti francesi di fine Settecento, scrisse La dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, ma non le andò bene. Venne incarcerata e ghigliottinata, per «essersi creduta uomo di stato».
Non tanto meglio andò a Antonia Masanello, indomita già a 15 anni e poi combattente insieme ai garibaldini, sotto mentite spoglie maschili. Morì in assoluta povertà, consumata dalla tisi. Marie Curie, invece, riuscì a sfruttare la sua mente brillante e sempre vigile ed ebbe il privilegio di essere ritratta sulle monete. Chiusa in laboratorio con il marito scoprì il radio. Conquistò un nobel per la scienza, cosa non proprio scontata per una donna di quell’epoca (era il 1903).
Alfonsina Morini Strada non aveva un soldo in tasca ma aveva una passione: pedalava senza sosta. Al suo sesso, però, non era permesso di esibirsi nel Giro d’Italia. Tenace e audace non rinunciò mai e seminò molti concorrenti «ufficiali»: a 47 anni fece il record femminile a Parigi, ma poi dovette risolversi ad aprire una officina di riparazione delle ruote e, per consolarsi, divenne una delle prime motocicliste.
Sono queste, solo alcune delle quindici biografie di donne famose (e meno conosciute) che ci vengono presentate attraverso Cattive ragazze, una graphic novel edita da Sinnos (di Assia Petricelli e Sergio Riccardi, pp.96, euro 12). Per chi volesse saperne di più, il 23 luglio, alle ore 19,30, il libro verrà presentato al pubblico dell’Isola Tiberina, nel Caffè letterario delle edizioni E/O.
Si potrà così fare la conoscenza anche con Nellie Bly, che denunciò la misoginia dei giornali americani e fu capace di scardinare lo stereotipo numero uno dell’informazione: nessuna donna nelle redazioni. Pagò un prezzo altissimo per l’accesso al mestiere: per realizzare un’inchiesta sui manicomi si fece internare e visse sulla sua pelle i soprusi (immaginate adesso un «inviato» maschio beccarsi un elettroshock per dimostrare che in alcuni luoghi ancora sia in auge la pratica?).
L’apartheid può essere di genere e, naturalmente, prendere la strada del colore della pelle. Angela Davis lottò contro la segregazione, anche tenendo corsi sulla letteratura nera all’università: incarico revocato perché «comunista». Quando poi durante il processo contro i Soledad Brothers (che lei aveva difeso) Jonathan Jackson fece irruzione in tribunale uccidendo e rimanendo ucciso, Davis venne accusata di complicità nell’omicidio. La sua carcerazione fu però il momento peggiore per la macchina dell’oppressione: divenne il simbolo della libertà e della lotta contro le ingiustizie per tutte le ragazze e i ragazzi black del mondo.
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