Cultura

L’esclusione e l’ossessione per l’unità occidentale

L’esclusione e l’ossessione per l’unità occidentale

Scaffale «Breve storia del razzismo» di George Fredrickson, per Donzelli

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 13 giugno 2017

«Il razzismo è principalmente un prodotto dell’Occidente. La sua logica è stata pienamente sviluppata, scrupolosamente attuata e portata fino alle estreme conseguenze, proprio nel contesto che presupponeva l’uguaglianza fra gli uomini».

QUESTE PAROLE sono di George Fredrickson (1934-2008), professore di storia degli Stati Uniti e condirettore dell’Istituto di ricerca per gli studi comparativi su razza e identità, fra i massimi esperti d’oltreoceano di razzismo. Poiché il fanatismo ha visto e prodotto forme di discriminazione anche in Oriente (il conflitto tra cinesi e giapponesi ha generato una notevole letteratura a proposito) e rintraccia come vittima, a volte, anche l’uomo bianco, tale giudizio sembrerebbe avventato. In realtà la dichiarazione è netta e precisa, ed esprime il nucleo centrale del libro appena riproposto da Donzelli, Breve Storia del razzismo (pp. 186, euro 18), e cioè che l’esclusione su base genetica nasce inscindibilmente con il capitalismo del XIV-XV sec., e in contrasto con quella mentalità democratica ritenuta inviolabile per i dominanti bianchi.
Fredrickson stabilisce un confine chiaro tra cosa significhi razzismo e cosa sia invece l’antisemitismo, l’antigiudaismo e la schiavitù dei neri.

SE FORME DI ESCLUSIONE sono state sempre presenti nel corso della storia, queste non implicavano necessariamente la definitiva espulsione dalla società. Basti pensare al fenomeno delle conversioni, grazie alle quali l’«inferiorità» dell’escluso veniva risolta una volta adottato il cattolicesimo, oppure ai molti trattati in cui l’ebreo, giudicato infimo, bugiardo e traditore, era biasimato in termini intellettualistici e non razziali.
Stesso problema per le popolazioni nere: se tutti siamo figli di Dio, come giustificare la schiavitù? Il libro attraversa la storia dell’Europa raccontando le modalità con cui i dominatori hanno «risolto» questo dilemma di coscienza, riportando dettagliatamente le conseguenze prodotte dalle ghettizzazioni, fino a giungere agli albori dell’età moderna, quando il paradigma si cristallizzerà in un modello decisamente cruento.
L’impatto con la modernità, più che la superstizione diffusa, è stato causa fondante dell’odio indiscriminato, ma anche in questo caso l’autore non si lascia andare a facili generalizzazioni, bensì affronta casi specifici e situazioni estremamente complesse, distinguendo in particolare i casi di Germania e Stati Uniti.

DALLA GHETTIZZAZIONE degli irlandesi alla posizione di Las Casas, passando per la guerra d’Indipendenza fino al razzismo del XXI secolo, Fredrickson dipinge un quadro nitido e altrettanto sconfortante.
Come afferma un grande studioso di psicologia, Franco Fabbro, sembra che uno «dei tratti caratteristici e perniciosi della cultura occidentale è stato ed è ancora l’ossessione per l’unità. In Occidente il concetto di diversità non è stato mai né amato né rispettato anche se tutto il vivente sembra utilizzare la strategia della diversità per garantire la continuità dell’esistenza (Neuropsicologia della esperienza religiosa, 2010)».

CIÒ CHE INQUIETA è che anche la cultura illuministica, da cui sono sorti i maggiori anticorpi contro una visione discriminatoria della realtà, abbia contribuito fortemente a sviluppare strumenti repressivi: basti pensare all’eugenetica, o ai vari manifesti redatti da «scienziati» devoti sotto il regime di Mussolini e Hitler.
Con la Germania razzista si raggiunge ovviamente l’apice. Le crudeltà perpetuate costringono i moderni nazisti a negare vi sia stato l’Olocausto piuttosto che avvalorarne l’esistenza storica, perché i crimini commessi sono indifendibili, e si collocano al vertice della mostruosità di ogni tempo. Un libro quello di Fredrickson interessante e articolato quindi, e purtroppo con ampi margini di attualità. Oggi la discriminazione viene declinata non in termini sanguinei, ma culturali, e spesso sembra essere più efficace dei metodi precedenti.

«QUELLO CHE È STATO definito il ’nuovo razzismo’ negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Francia è un modo di vagliare le differenze considerando parametro essenziale di valutazione la cultura e non il patrimonio genetico, o in altre parole facendo compiere alla cultura il lavoro della razza», scrive l’autore.
Se dunque la xenofobia è fenomeno universale e antico, il razzismo è una costruzione storica, rintracciabile con lo sviluppo del colonialismo, il capitale e lo Stato-nazione, modelli evocati ancora oggi e quindi tremendamente pericolosi.

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